Lo spunto
Ci sembra ancora di veder entrare in redazione Renzo Francescotti con l’inconfondibile camminata, un saluto appena sussurrato e l’immancabile nuovo libro sotto braccio, lasciato poi cadere sul tavolo: “Se avrete la cortesia di farmi una recensione….”. Era molto affezionato alle sue creature letterarie e poetiche e le affidava, ancora fresche di stampa, ai colleghi, confidando di trovare attenzione e plauso, lui che spesso si trovava a recensire il lavoro di altri. Verso Vita Trentina nutriva simpatia sincera, vi trovava un luogo forse più libero rispetto ai palazzi curiali che aveva guardato con una certa diffidenza (a motivo di qualche negativa esperienza giovanile o forse di qualche pregiudizio generazionale). E poi al giornale sentiva presente il carisma di donVittorio Cristelli che insieme a lui aveva valorizzato il comune amico, il poeta don Mario Bebber. Da queste amicizie e da un confronto anche personale con la Bibbia, Francescotti aveva tratto una predilezione per gli ultimi, una delle costanti della sua produzione letteraria e artistica, dalle vicende dei migranti trentini alle faticose condizioni nei sobborghi durante le guerre. Anche la sua poesia–un’arte nella quale si considerava un maestro di riferimento anche per il successo dei suoi infiniti corsi per aspiranti poeti a Villa Sant’Ignazio – lasciava affiorare una genuina ispirazione umanitaria, soprattutto a favore dei più bisognosi. Piaceva a Renzo Francescotti atteggiarsi a “Pierino trentino”, un po’ ribelle e un po’ birbone, tanto che questo fu il titolo del libro per il suo 80° compleanno con i ritratti di alcuni artisti amici. Ci resta il ricordo di un’umanità schietta, a volte ruvida, intelligente e spesso sanamente provocatoria per gli ambienti ecclesiali che amava pungolare, rivelandone implicitamente anche attenzione e simpatia.
(dal sito www.vitatrentina.it, 10 gennaio 2025)
La morte di Renzo Francescotti, lo scorso 9 gennaio a 86 anni, oltre al dolore che provoca alla famiglia e agli amici, priva il Trentino di un uomo che dava presenza e consistenza ai suoi valori fondanti, alla sua storia, ad una identità radicata nella capacità di resistere alle avversità (guerre, dominazioni) e alla povertà, come alle durezze di una natura spesso aspra (le valli scoscese, difficili da coltivare, le alluvioni…). Verranno meno, con la scomparsa di Francescotti, i suoi contributi di cultura nei campi più disparati, dalla poesia alla letteratura, dalla critica d’arte al giornalismo, ma verrà a mancare soprattutto la sua presenza fisica rassicurante, perché nei momenti difficili trasmetteva l’ottimismo della volontà che gli proveniva da una visione civile più ancora che politica (nel suo partito non tutti lo sostenevano) di aderente ad un Pci gramsciano, legato ai territori e al mettersi in gioco personalmente: “Se ti impegni, se ne sai più degli altri ce la farai a superare le difficoltà”.
Veniva da qui l’energia che trasmetteva entrando in redazione con un suo articolo, o quando lo si incontrava in una passeggiata sul Fersina e ci si fermava a parlare seduti su una panchina, un’energia contagiosa, propria degli uomini che sanno unire visione ed azione. E Francescotti amava l’azione. Scrivere – pratica che perseguiva con grande disciplina e metodo – era per lui un agire, un diventare attore, assieme ai protagonisti (oltre 50 i libri pubblicati) di ciò che raccontava, o dei versi da cui si sentiva rappresentato. Scrivendo diventava lui il “Rustico ribelle” della “Guerra dei Carneri”, o il “Rosso” emarginato, ma indomito, di “Celtica”. Ma era tutto “suo” anche il piacere che gli dava il vivere all’aria aperta (o fra le onde dei laghi che amava), perché, così dedito agli studi, non era per nulla un topo di biblioteca, era un bravissimo nuotatore, tanto che per festeggiare i suoi 80 anni aveva attraversato a bracciate il lago di Caldonazzo. E ne andava fiero.
La forza di Francescotti, l’autorevolezza dei convincimenti che sapeva trasmettere con capacità artistica e didattica anche nelle scuole dove insegnava, oltre che nel teatro (il Gruppo Neruda!) dove metteva in scena, con i bravissimi interpreti che lo seguivano, le pagine di una autentica epica popolare trentina, stava in questa completezza vitale che univa ispirazioni a suggestioni, studio a testimonianze civili capaci di relegare in secondo piano anche alcuni personalismi ai quali non si sottraeva.
Ora che se ne è andato di Francescotti resta il corpus letterario che ha contribuito ad allargare la percezione della storia trentina nella sua incisività sociale ed umana. A questo miravano i romanzi ambientati anche oltre i confini, come quello sulle pianure russe del Don, o “Biplano”, sui voli dall’aeroporto di Gardolo. Fondamentale resta, in questo contesto, la rivalutazione del dialetto da lui operata ( i suoi versi compaiono in due antologie poetiche nazionali edite da Garzanti), come è decisiva la riscoperta, da lui proposta ripercorrendo le strade di Trento dei mestieri dei padri, delle botteghe, delle professioni e dell’artigianato che si tramandano di generazione in generazione e che danno al contesto urbano il suo carattere specifico di convivenza, non di contenitore commerciale. Non ultima per significato è poi la rivisitazione dei quartieri con inchieste e sopralluoghi diretti, quelle contrade spesso dimenticate o emarginate – come La Busa sul Fersina o San Martino – ma in realtà pilastri portanti della città e del suo fascino. Non è un caso che uno dei suoi libri più recenti raccolga una serie di racconti su Piedicastello, il bellissimo quartiere da cui è nata la città e che i Trentini bypassano troppo velocemente, spesso ignorandolo. Poesie, romanzi e racconti che restano riferimenti ai quali ritornare, tali da suggerire che Renzo Francescotti verrà non solo rimpianto da chi gli è stato amico, ma letto e studiato anche dalle giovani generazioni che non hanno potuto incontrarlo.