Bonhoeffer, 80 anni dopo, ci proietta nel futuro

Sono trascorsi ottant’anni dalla morte di Dietrich Bonhoeffer, giustiziato il 9 aprile 1945 nel Lager di Flossenbürg. È un tempo lunghissimo e per questo la domanda sull’attualità delle sue intuizioni e delle sue scelte è legittima: dobbiamo consegnare Bonhoeffer a un passato ormai lontano e relegarlo per sempre nelle pagine dei libri di teologia, o la sua vicenda continua a dirci qualcosa sul significato della fede e sull’impegno nella storia? Ma anche se legittima, posta così questa domanda rischia di essere fuorviante, perché ci mette di fronte a una semplificazione che non rende ragione della complessità del pensiero di Bonhoeffer e non spiega il grande interesse che ancora oggi stimolano le sue riflessioni.

Se da un lato, infatti, la formazione e il retroterra di Bonhoeffer affondano le radici nella tradizione culturale e teologica di fine Ottocento, dall’altro ci sono migliaia di pagine che egli ci ha lasciato che mantengono una sorprendente attualità e ci costringono a riflettere sul senso ultimo della sequela e del nostro impegno nel mondo: egli è l’uomo che ha stimato von Harnack e che è divenuto discepolo e amico di Karl Barth, il giovane che si è lasciato trasformare dall’incontro con la chiesa nera di Harlem, è il teologo impegnato per la pace in seno all’ecumenismo e che ha dato un formidabile impulso alla Chiesa Confessante, è il direttore del seminario clandestino di Finkenwalde, il congiurato che ha accettato il caso limite, il martire per la causa di Gesù Cristo. Ma soprattutto è l’uomo che si è interrogato, a partire dal Vangelo e nel confronto continuo con la tradizione luterana, sul valore della responsabilità in un mondo segnato dal male radicale.

In tutto questo sorprende quanto le domande di Bonhoeffer siano proiettate sul futuro (è questo un tema di grandissimo interesse), quasi che in una delle stagioni più buie della storia umana egli sentisse il bisogno di guardare oltre e di consegnare alle generazioni future l’eredità migliore di una generazione che aveva combattuto contro il male fino alle estreme conseguenze.

Attraverso quelle domande egli non solleva semplicemente interrogativi sul tempo in cui vive, ma ci consegna una serie di questioni che gli sembrano inevitabili per le generazioni del dopoguerra. Sono le domande sul destino del cristianesimo in Europa (che egli comincia a formulare nel 1931, poco meno di un secolo fa!): «Come si immagina la persistenza del cristianesimo nei confronti della situazione del mondo e del nostro modo di vivere? Diventa sempre più incomprensibile che per amore di un giusto “la città sia risparmiata”. Ora sono pastore degli studenti al Politecnico: come si devono predicare tali cose a questa gente? Chi ci crede ancora?». Sono le domande del 1944 sul cristianesimo non religioso: «se alla fine anche la forma occidentale del cristianesimo dovessimo giudicarla solo uno stadio previo rispetto ad una totale non-religiosità, che situazione ne deriverebbe allora per noi, per la Chiesa? Come può Cristo diventare il Signore anche dei non-religiosi? Ci sono cristiani non-religiosi? Se la religione è solo una veste del cristianesimo – e questa veste ha assunto essa pure aspetti molto diversi in tempi diversi – che cos’è allora un cristianesimo non religioso? ». Sono le domande del 1934 sulla pace radicale: «Come viene la pace? Con un sistema di trattati politici? Con l’investimento di capitali internazionali nei vari paesi? Cioè con le grandi banche, con il denaro? O con un armamento pacifico universale, allo scopo di garantire la sicurezza, la pace? No, con tutto questo no senz’altro, per il motivo che c’è una confusione generale di pace con sicurezza. Chi di voi può mai dire di sapere che significherebbe per il mondo se un popolo accogliesse il proprio assalitore non con le armi in pugno, ma con la preghiera, disarmato, e proprio per questo armato dell’unica difesa e arma efficace?». Sono le domande del 1942 sulla responsabilità nel caso limite della congiura: «Chi resta saldo? Solo colui che non ha come criterio ultimo la propria ragione, il proprio principio, la propria coscienza, la propria libertà, la propria virtù, ma che è pronto a sacrificare tutto questo quando sia chiamato all’azione ubbidiente e responsabile nella fede e nel vincolo a Dio: l’uomo responsabile, la cui vita non vuole essere altro che una risposta alla domanda e alla chiamata di Dio. Dove sono questi uomini responsabili?».

Avvicinarsi a Bonhoeffer a partire dai suoi interrogativi più radicali, questo forse oggi ci aiuta a comprenderne la formidabile attualità. E ci protegge dagli abusi di coloro che, come è accaduto durante la campagna elettorale di Trump, hanno “armato” (mettendogli proprio una pistola in mano) Bonhoeffer per metterlo al servizio del futuro presidente, tradendone e violentandone la memoria.

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