«Simone, figlio di Giovanni, mi ami?»

4 maggio: III domenica di Pasqua – C

Letture: At 5,27b-32. 40b-41; Sal 29; Ap 5,11-14; Gv 21,1-19

«Simone, figlio di Giovanni, mi ami?» (Gv 21,16)

Il vangelo di oggi ci accompagna nel passaggio dalla notte all’alba di un giorno nuovo. È notte quando Pietro e i suoi compagni decidono di ritornare a pescare. Non si tratta di una scelta banale perché indica la decisione di rinunciare alla sequela, riprendendo la vita interrotta dalla chiamata di Gesù. I sette discepoli avevano lasciato tutto per seguirlo affascinati dalla sua persona; la loro speranza si era, tuttavia, spenta ai piedi della croce. L’esito dell’abbandono è però il buio e la sterilità: «In quella notte non presero nulla» (v. 3).

Ma Gesù non li lascia nella notte; li raggiunge sulla sponda del lago dove tutto era iniziato, riempendo di luce e significato il loro vuoto. Ne segue l’apertura degli occhi per riconoscere nel misterioso ospite Colui che avevano seguito, amato e pianto, e una pesca straordinaria: centocinquantatré grossi pesci. Il numero indica tutte le specie allora conosciute e rappresenta il carattere universale della missione che attende i discepoli. L’annuncio del Vangelo dovrà raggiunge tutti i popoli per strappare ogni persona dal male e condurli all’incontro con il Risorto.

Avvolta nella luce della risurrezione, capace di riconoscere la presenza del Signore nel buio di ogni notte – nella mancanza di significato, nella sterilità pastorale e persino nella persecuzione – la comunità dei credenti si riscopre, dunque, missionaria. Come Pietro, siamo chiamati a tuffarci in mare, a lasciare i confini rassicuranti delle nostre barche, per divenire testimoni coraggiosi del Vangelo. Ci accompagna la certezza che Gesù sarà tra noi per sempre, nel pane spezzato e nella condivisione della vita.

Forse per questo Pietro, colui che dovrà conservare l’unità dei discepoli, è messo alla prova. Gesù non gli domanda se ha compreso il suo messaggio o superato lo scandalo della croce; non gli chiede neppure se fosse disposto a morire per lui. L’unica questione riguarda l’amore: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?» (v. 15). Notiamo che nelle prime due domande Gesù utilizza agapaō, il verbo che indica l’amore gratuito e assoluto di Dio. Per due volte, Pietro risponde utilizzando un verbo diverso; non agapaō ma phileō, il verbo dell’amicizia. Forse dopo l’esperienza del triplice rinnegamento nella notte dell’arresto, Pietro era consapevole della fragilità del proprio amore. Nella terza domanda, Gesù cambia verbo, scendendo al livello di Pietro, per chiedergli se potesse almeno essergli amico.

Il dialogo tra Gesù e Pietro rivela un aspetto importante della missione: siamo tutti peccatori, testimoni feriti, comunità bisognosa di conversione. All’inizio del suo cammino con Gesù, Pietro aveva gridato: «Allontanati da me, Signore, perché sono un peccatore» (Lc 5,8); Gesù non si era, tuttavia, allontano e Pietro aveva lasciato tutto per seguirlo. A Pietro che riconosce ancora una volta il suo limite viene affidato il ministero del pastore: «Pascola le mie pecore» (v. 16).

Come Pietro, la comunità credente è santa soltanto quando si riconosce bisognosa di perdono, quando si affida alla misericordia di Dio per lasciarsi condurre per cammini sempre nuovi. L’invito «Seguimi» con cui si conclude il brano di oggi non è perciò rivolto soltanto a Pietro: continua ad essere diretto a ciascuno di noi che abbiamo avuto la grazia di essere incontrati da Gesù e vivere un rapporto di amicizia con Lui.

Chiediamoci: Amiamo Gesù? Siamo, almeno, suoi amici? Accogliamo l’invito a seguirlo?

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