Don Giulio Viviani a “The Jungle podcast”: “Il Conclave nacque a Viterbo”

Don Giulio Viviani

“Il nome Conclave vuol dire ‘chiuso dentro’, ‘chiuso con le chiavi’. Nacque a Viterbo, perché i cardinali dell’epoca mai si decidevano a nominare un nuovo pontefice: allora li hanno chiusi dentro perché trovassero una decisione”. Lo ha raccontato don Giulio Viviani, parroco di Mezzocorona e Roveré della Luna, al podcast “The Jungle” di Trentino Tv, a cui ha spiegato il funzionamento del Conclave.

Dopo la morte di papa Clemente IV, avvenuta nel 1268, 19 cardinali furono chiamati ad eleggere un nuovo pontefice proprio a Viterbo. Una decisione difficile soprattutto per i conflitti geopolitici del tempo. Dopo un anno e mezzo di indecisione – riporta il quotidiano Domani – il capitano del popolo Raniero Gatti decise di ordinare la chiusura delle porte della città e il trasferimento coatto dei cardinali nella grande Sala del Palazzo Papale, con l’avvertenza che non sarebbero usciti di lì finché non avessero scelto il nuovo Papa.

Dopo la morte e i funerali del Papa, il primo passaggio è rappresentato dalle Congregazioni generali: “Per me quello è stato uno dei momenti più belli vent’anni fa, perché ho potuto incontrare i cardinali, che ogni giorno arrivano nell’aula del Sinodo, si presentano e fanno un giuramento. In quell’occasione si sente il polso della Chiesa, perché in molti parlano della loro comunità, delle loro situazioni, a volte anche molto faticose, e anche di come vorrebbero il Papa”, ha commentato don Giulio Viviani a The Jungle, parlando poi della sua esperienza di cerimoniere: “Come cerimoniere preparavo il testo del rito del Conclave, il testo della costituzione che regola le procedure, qualche scheda per il voto e un grande foglio con tutti i nomi dei cardinali. A quel punto, il maestro delle celebrazioni dice il famoso ‘extra omnes’, ‘fuori tutti’, e rimangono solo loro, i cardinali, che vengono invitati ad esprimere il loro voto”.

I cardinali a quel punto depongono la loro scheda nelle urne. Vengono contate le schede e, se il numero è quello giusto, vengono aperte. Poi arriva il momento in cui si bruciano le schede con le due stufe, un compito non semplice che spettava a don Giulio Viviani quando era cerimoniere in Vaticano. “Nel 2005 c’era accanto a me il cardinal Re, che mi disse di buttare dentro tutte le schede. ‘No, che me se smorza el foch’, dissi io. Lui capì, perché è bresciano”. Per la fumata bianca, ha confidato don Viviani, “ho aggiunto un po’ di paglia umida“.

“Ogni cardinale può dare il voto a chi vuole. L’unico vincolo è quello della segretezza“, ha aggiunto don Giulio. “Per diventare Papa bisogna accettare la nomina. Dicono che sia successo ancora che qualcuno rifiutasse la nomina. Quando uno supera il quorum del voto, 2/3 più uno, ecco che il cardinale diacono più giovane viene, apre la porta ed invita il maestro della celebrazione, che fa da notaio, ad entrare. E lì chiedono all’eletto se accetta. Se dice di no, si riparte con le votazioni”.

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