Lo spunto
Che i cardinali abbiano scelto un Papa in funzione anti Trump è la tipica esagerazione che può venire in mente solo ai tifosi e agli odiatori di Trump, accomunati dall’ossessione per l’ingrugnito della Casa Bianca.
Massimo Gramellini (Il Caffè, Corriere della Sera, 10 maggio 2025)
Sono molte le riflessioni che, assieme alle speranze, si aprono con l’elezione del cardinale Robert Francis Prevost, Leone XIV, “ponte” fra un Nord ricco (gli Stati Uniti dove è nato) e un Sud impoverito (il Perù dove è stato a lungo pastore e vescovo). Lo Spirito Santo, che quel giorno del conclave volteggiava sul comignolo della Sistina sotto le forme di un gabbiano (travalicatore di monti ed oceani, uso a onde e mari anche tempestosi) piuttosto che di una più tranquilla colomba, deve aver suggerito davvero parole di audacia e coraggio ai cardinali riuniti sotto gli affreschi di Michelangelo, accanto alla stufa. Lo Spirito trasmette il suo alito di vita anche avvalendosi della fragilità degli uomini ai quali si rivolge e nella Sistina ai cardinali non è mancato il coraggio nella rapidità della decisione (la stessa fumata bianca immortalata a Roma da Gianni Zotta, forte, prorompente, inequivocabile nel suo colore è sembrata esprimerlo) e anche nella scelta, caduta su un prelato degli Stati Uniti, smentendo la “real politik”.
Essa postula infatti che ben raramente i papi vengono indicati fra gli appartenenti a Paesi “grandi potenze”, per non suscitare possibili gelosie fra i leader e i popoli, rancori, competizioni, condizionamenti o rifiuti. Ma il coraggio non è mancato neppure all’eletto nella scelta del nome, Leone: un uomo mite che vuol essere chiamato “leone” non certo per intimidire, ma per mostrare che la mitezza non è “buonismo” e non impedisce di opporsi ai prepotenti e ai violenti.
Riflettere sui risvolti terreni del voto nella Cappella Sistina non significa gravarlo di significati e retroscena “politici” (che non gli appartengono), ma riconoscere alcuni segni “storici” importanti. Primo compito del successore di Pietro non è solo tenere unita la Chiesa di Cristo, ma anche estendere questa unità trasformandola in fraternità universale.
Sul tema “pace” – non a caso la prima e difficile parola pronunciata da Leone XIV – era atteso al varco da chi vuole imprigionare il papato nel politichese. Ché se Prevost si presentava con il colloquiale “buonasera” che a Bergoglio aveva dato immediata popolarità significava che egli voleva seguire, anzi imitare il predecessore in maniera un po’ populistica, mentre se ritornava al tradizionale ed ecclesiastico “Sia lodato Gesù Cristo” significava che c’era da attendersi una restaurazione ratzingeriana. Invece tutti hanno potuto sentire quel “La pace sia con voi” che è il saluto del Risorto, un suo dono agli uomini, che richiede però la loro partecipazione.
Qui è venuta la seconda scelta coraggiosa, un nome che è dentro la storia del mondo cristiano, oltre che del papato dal momento che furono molti i papi Leone capaci di affrontare le “cose nuove”.
Non solo Leone XIII con la “Rerum Novarum” (che ispirò anche il nostro vescovo Celestino Endrici nella grande opera di riscatto e di economia sociale, favorendo l’affermarsi della cooperazione) ma Leone Magno che, disarmato, seppe fermare le orde di Attila, al passaggio delle quali non cresceva più nemmeno l’erba, così come oggi le orde distruggitrici della violenza materiale e finanziaria lasciano dietro di sé macerie, fame, pianto e nuove povertà.
Ma occorreva un papa “americano” per ripristinare equità e giustizia? Anche in questo caso ci troviamo di fronte a una scelta che esula dagli schemi usuali, che supera coraggiosamente tabù antichi ed apre a nuove prospettive. L’impressione, infatti, è che le “cose nuove” indicate da Leone XIV non si riducano a confrontarsi con i pericoli dell’Intelligenza Artificiale, ma vada più in profondità, prendendo atto che la globalizzazione consumistica e materialista è fallita e finita. E si afferma l’esigenza di un universalismo di fraternità, come ha indicato esplicitamente, con le sue presenze giovanili, la piazza San Pietro delle esequie di papa Francesco.
Questa è la sfida che il cristianesimo si trova ad affrontare oggi, ma una Civitas Dei che non sia una restaurazione (improbabile) del passato non è concepibile senza il coinvolgimento della “melting pot” americana, oggi ideologica più che etnica. Non dimentichiamo che le radici dell’America restano spirituali, con i Padri Pellegrini che la fondarono, ma anche con il monachesimo di meditazione di Thomas Merton (“La montagna dalle sette balze”) o con l’opposizione all’atomica che valse la copertina di Time al cardinale Bernardin. Avere un Papa americano, Usa ma non “yankee” (non casuale il “non uso” dell’inglese nel primo saluto di papa Leone) non solo riporta equilibrio fra i due emisferi del Nuovo Continente (il Nord non può più dire di essere discriminato o incompreso dalla Chiesa), ma supera anche i pregiudizi radicati in tutta la cultura di origine anglicana ed episcopaliana, che da Enrico VIII e dalla Bibbia nella traduzione di Re Giacomo in poi chiama “papists”, i cattolici, papisti, con sottintesi non velatamente dispregiativi.
Ora questo mondo potrà fare i conti con scelte concrete, abbandonando pregiudizi e risentimenti, né basterà richiamarsi a un altro papa con lo stesso nome, Leone X, che scomunicò Lutero, posto che proprio Enrico VIII, prima di autoproclamarsi capo della chiesa anglicana si pose come “Defensor fidei”, difensore della fede, nei confronti del luteranesimo e dei principi tedeschi che lo sostenevano.
Forse la stagione di universalismo fraterno che l’elezione di Leone XIV apre potrà anche frenare la tendenza delle Conferenze episcopali nazionali a porre le diocesi sotto il loro “cappello” spesso troppo condizionato dai rapporti con le forze politiche nazionali, con il rischio per le Chiese locali di una deriva anglicana, o gallicana, o da principati tedeschi o anche ortodossa con i “pope” di fatto cappellani dei reggitori politici. Ma il Papa è un’altra cosa e potrà restituire ruolo alle diocesi e valorizzare le presenze sacerdotali che attendono un pieno riconoscimento della loro sacramentalità e pastoralità. Sono molte le prospettive che racchiude “in nuce” la coraggiosa elezione di Papa Leone XIV. Ai cittadini, alle genti, ai cristiani spetta agevolarle con buona volontà in un contesto di pace.