A 1700 anni da Nicea, il Concilio tanto attuale

Nicea, antica basilica

«Lo stiamo preparando». Così ha risposto papa Leone XIV ai giornalisti che lo interrogavano su quel viaggio a Nicea desiderato e annunciato da papa Francesco e rimasto “sospeso” con la sua malattia e la sua morte. È bastata questa semplice battuta – e la successiva conferma dopo l’incontro con il patriarca Bartolomeo – per riportare sotto i riflettori la odierna cittadina di Iznik, a 130 km da Istanbul, dove 1700 anni fa ebbe luogo il primo Concilio ecumenico, iniziato secondo la tradizione proprio il 20 maggio del 325 e ricordato martedì sera in Duomo (vedi pag. 12).

Nonostante le molte incertezze storiche e teologiche attorno alla convocazione e allo svolgimento del Concilio, è certo che esso costituisce un momento di grandissima importanza non solo per ciò che vi accadde ma per il periodo storico in cui è collocato e per le conseguenze che ha avuto.

La controversia teologica che con tutta probabilità ha motivato il Concilio ebbe come protagonista la comunità di Alessandria, nella persona del presbitero Ario e del suo vescovo Alessandro, ma aveva certamente dimensioni più grandi, fino a interessare almeno tutto l’Oriente cristiano. La visione ariana metteva in discussione l’idea di ‘generazione eterna’ del Figlio, fino a porlo in posizione inferiore rispetto al Padre, immaginando così una seconda divinità subordinata e mettendo in pericolo il suo ruolo di Salvatore nei confronti dell’umanità da lui assunta in Gesù Cristo. La risposta della cristianità è stata una grande convocazione, di dimensioni ampie (“ecumeniche” appunto, cioè riguardanti tutta la terra abitata), voluta e condotta per la prima volta da un imperatore, Costantino, dove il simbolo di fede (quello che oggi chiamiamo il “credo”) fu l’esito di un comune accordo contro l’eresia e potè reclamare da questo momento in poi un’autorità universale.

Nel 2014 dalle acque del lago su cui Nicea è costruita sono emersi i ruderi di un’antica basilica (si veda la foto a pag. 12), forse quella edificata appunto subito dopo questo grande Concilio. Queste pietre, che formano un perimetro ben definito, sono l’immagine di una domanda che attraversa i secoli e arriva fino a noi. Su cosa basiamo la nostra fede? Ne conosciamo contorni e contenuti, crediamo in ciò che professiamo? E come trasmettiamo ciò in cui crediamo?
Ricordare Nicea è un appello alla Chiesa intera a chiedersi se è ancora capace di ritrovarsi al di là delle differenze attorno a una fede comune, se sa dialogare e cercare ciò che unisce, se è ancora Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore il centro della sua vita e del suo annuncio. È un appello a guardare alla storia, con i suoi chiaroscuri e le sue necessarie inculturazioni, per costruire presente e immaginare futuro, perché il messaggio cristiano ancora cammina su pensieri e cuori di uomini e di donne, parla le lingue e le culture di oggi, si mescola alle storie e alla storia per fecondarle con l’annuncio del Vangelo.

Nicea ci interessa, come credenti, perché quella professione (con le aggiunte del Concilio di Costantinopoli del 381) ha attraversato i secoli, è entrata stabilmente nella liturgia ed è professata ogni domenica da noi e da tutti i cristiani di ogni confessione. E allora in questa domenica, col pensiero a quel lontano evento, potremmo prenderci un piccolo impegno: durante la Messa, quando saremo invitati a professare la nostra fede, facciamolo pensando con più attenzione alle parole che pronunciamo, grati a chi ha cercato di trovare le espressioni più appropriate, a chi nella catena delle generazioni ce le ha trasmesse, grati al Padre, al Figlio e allo Spirito santo che ne sono il contenuto e nello stesso tempo il sostegno.

La gioia e la consapevolezza di appartenere all’unica Chiesa che professa senza differenze questa fede trinitaria motiveranno il cammino e sproneranno alla missione.

(Suor Chiara Curzel è docente di patrologia all’ISSR “Romano Guardini” di Trento)

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