La tristezza per la partenza di papa Francesco è stata presto spazzata via dalla gioia per l’elezione del nuovo Papa, Leone XIV. Abbiamo tutti avuto modo di renderci conto che questa scelta è stata fatta sì dai Cardinali, ma essa era già stata fatta dallo Spirito Santo. La rapidità dello scrutinio e l’impressione che il nuovo eletto fosse proprio quello che ci voleva in questo momento della storia ha lasciato in me – ma credo anche in tanti altri – la certezza che la Chiesa non è un club occidentale e ancora meno italiano, ma il popolo universale del Dio vivente, fondata da Gesù e guidata dallo Spirito del Risorto. La figura del nuovo Papa ha subito occupato e riempito la scena lasciata vuota e, in un certo senso incolmabile, dalla forte personalità di papa Francesco che sembrava non potesse essere adeguatamente rimpiazzata.
Lo Spirito Santo ha sconvolto e mandato in aria tutte le previsioni. Non ho nulla contro i diversi papabili che la stampa ha presentato nel corso delle ultime settimane, ma che erano già stati ventilati per eccesso di voglia di informazione anche prima che Francesco lasciasse questo mondo. È stato bene così ed è apparso evidente quello che il Vescovo di Como ha detto in un messaggio alla diocesi prima di entrare in conclave: il Papa è già stato eletto dallo Spirito Santo e a noi tocca solo di identificarlo in mezzo ai cardinali raccolti in preghiera e discernimento nella Cappella Sistina.
La prima apparizione di papa Prevost la sera dell’8 maggio ci ha fatto comprendere che il vescovo di Roma e il successore di Pietro è la pietra di vòlta della Chiesa, quella pietra necessaria che fa completa e salda la costruzione della Chiesa che Gesù ha edificato con la sua morte e risurrezione. Il Papa ha l’insostituibile carisma di unificare e dare forma alla Chiesa che grazie a lui cresce compatta e solida.
Penso alla gioia dei cristiani latinoamericani e in particolare dei Peruviani che vedono un vescovo e un missionario che ha lavorato in quella terra prendere posto sulla cattedra di san Pietro alla guida e al cuore della Chiesa. Ma voglio anche esprimere e sottolineare la gioia di noi missionari che abbiamo visto uno come noi che ha vissuto la missione in una regione bisognosa di evangelizzazione e di presenza di missionari venuti da fuori per lavorare per la edificazione della comunità cristiana e umana, che ha speso anni nella raccolta del popolo di Dio in mezzo al quale ha testimoniato l’amore di Dio e l’appello alla grazia a quelle popolazioni bisognose di lavoratori del Vangelo.
Confesso che sentire che papa Leone è stato per anni missionario, vederlo in mezzo alla gente andina, con i piedi nell’acqua e nel fango, vederlo andare a cavallo non per un concorso ippico o per poter essere immortalato a mo’ di cowboy, ma per raggiungere popolazioni lontane, è stato per me, missionario, una grande consolazione. Da un punto di vista personale, perchè questo mi ha fatto rivivere gli anni passati in missione su strade che erano delle mulattiere piene di sassi e di buche in viaggi faticosi e disagiati per raggiungere i fedeli e i non fedeli e portare loro l’amore di Gesù. Ma anche da un punto di vista ecclesiale e formativo ho visto una conferma di quanto spesso diciamo negli ambienti della formazione del clero nelle nostre Chiese antiche: se i futuri ministri ordinati della Chiesa potessero tutti fare un’esperienza significativa – non solo turistica o culturale – nell’ambiente non cristiano della missione, quanto ne guadagnerebbe la loro preparazione e in definitiva anche la loro credibilità apostolica. Potrebbero rendersi conto della prima e fondamentale dimensione del ministero ecclesiale. Crescerebbe la gioia dell’evangelizzazione e la consapevolezza di essere davvero servitori della fede e dell’umanità. Nulla più di questa esperienza costruisce quegli atteggiamenti di vicinanza, compassione e tenerezza che papa Francesco ha raccomandato in tutti i modi e in tutti i toni come lo stile della Chiesa nel nostro mondo. Ad multos annos, papa Leone e grazie molte!