La croce di Mauro Pancheri dal convento al municipio

Ho seguito a Terzolas, la sera del 9 maggio, la breve ma intensa cerimonia che ha segnato il trasferimento, il “passaggio” del crocefisso dipinto da Mauro Pancheri dal convento dei frati a una sala della Torraccia, sede del Comune, una sala dedicata a Maria Teresa, l’imperatrice delle riforme che hanno portato l’istruzione elementare obbligatoria anche nei paesi di montagna ed hanno consentito l’alfabetizzazione delle nostre vallate. Mi sembra che i tempi attuali meritino una riflessione su questa croce, sul suo significato e sul percorso del dipinto, temi che vanno oltre la val di Sole.

Lettera Firmata

(Malé – Trento)

“Quando mi fu chiesto di partecipare ad una mostra di Arte sacra a Brescia, era il 2001, ci pensai molto su cosa portare, alla fine decisi di portare una Croce fuori dagli schemi, ovvero una Croce che non rappresentasse la morte ma la vita, il mondo naturale dove viviamo, anche perché in questo contesto pensiamo e ci muoviamo, non potrebbe essere altrimenti. La nostra fede si sviluppa in simbiosi con un paesaggio e se pensiamo ad un Dio il pensiero parte appunto dalla terra per poi innalzarsi verso l’alto”.

Con queste parole Mauro Pancheri, pittore a Caldes, ha ricordato l’occasione e l’ispirazione dalle quali è nata la tela del crocefisso, ora nel Comune di Terzolas, in val di Sole. Il cristianesimo (ma anche altre religioni) è sempre legato a luoghi, non solo a idee e simboli di fede, ma alla realtà specifica dei territori dove l’uomo vive, dove lo stesso Cristo è nato e vissuto. Morto e risorto.

Per questo il crocefisso di Pancheri è composto, nella sua struttura, da tasselli di paesaggio, momenti di natura della val Sole. Non vi appare la figura del Cristo perché, appunto, è risorto, è giù dalla croce e abbraccia invece nella sua “redenzione” il mondo creato dove ha testimoniato il padre, predicato e incontrato le folle, dove lui stesso è nato e vissuto. Per questo il crocefisso dipinto da Pancheri comprende fra le sue braccia non solo l’umanità intera (rappresentata dai quattro volti agli angoli), ma la stessa natura creata, rendendola sorella di uomini, donne e bambini e quindi, come bene esprimeva San Francesco nel Cantico delle Creature, degna di essere lodata come cosa sacra: “Laudato si’…”.

Questa Croce che abbraccia la natura fa della resurrezione e della redenzione quasi un’altra creazione e il dipinto ne fissa i segni. “Romano Battaglia – ha ricordato Pancheri – scriveva che la croce congiunge la terra al cielo mentre Simone Weil la vedeva come punto d’appoggio per l’umanità”. La terra e il cielo a cui tende l’umanità, insieme con l’acqua diventano, nel dipinto di Pancheri, segno e simbolo di redenzione“. “L’acqua – spiega Pancheri – scaturisce da una sorgente ed è quindi una nascita e poi scorre in un fiume che assomiglia nel suo percorso ad una vita. Nel paesaggio che abbraccia la croce stringe a sé anche la stretta forra dipinta al centro del quadro che pare il baratro, l’abisso dentro il quale le vite rischiano di precipitare se non ci fosse la croce, la redenzione, a sorreggerle, ad estrarle dal male”.

Questo dipinto, dopo Brescia, venne esposto nel 2003 in una mostra al Mart di Rovereto e in seguito fu donato al convento di Terzolas, uno dei conventi storici dei frati Cappuccini nel Trentino, profondamente radicato nella religiosità e nella cultura popolare della valle. Era la sede più idonea ad ospitare il quadro ed a trasmetterne il messaggio e questo si verificò per anni, fin tanto che la crisi delle vocazioni e il progressivo ridursi della presenza dei frati non portarono ad una forte riduzione degli spazi conventuali per destinarne una parte a residenza per anziani. Oggi alcuni frati restano ancora nel convento, ma tutto fa pensare che anche Terzolas si prepari al destino che ha colpito presenze di religiosità come quelle della Cervara a Trento o di Condino.

Negli ultimi tempi il dipinto era finito in una stanza poco frequentata. Di qui la decisione della sindaca di Terzolas, Luciana Pedergnana, di richiederlo al convento per conservarlo alla Torraccia, sede del Comune, in una sala destinata a incontri pubblici e culturali per la comunità.

Una scelta lungimirante e coraggiosa, che da un lato riconosce e valorizza la cultura locale, la tradizione, i valori profondi che i pittori della “scuola solandra” hanno saputo trasmettere proprio partendo dalla natura e dagli uomini che la lavorano, la amano, la custodiscono nella sua bellezza e nel suo ruolo di sostegno alla vita, ma dall’altro richiama l’attenzione sul fatto che il cristianesimo non è soltanto un fatto “privato” fra Dio e l’uomo, ma un abbraccio universale di fraternità, di rispetto della casa comune e della convivenza reciproca, di aiuto verso chi si trova in difficoltà, una dimensione, come hanno testimoniato anche gli ultimi pontefici, che riguarda anche la sfera civile del vivere.

Il trasferimento dal Convento alla Torraccia della Croce che abbraccia il cantico delle creature (scritto da San Francesco o più probabilmente dettato al suo confratello più fedele e vicino, frate Leone, negli ultimi anni di vita quando già si trovava gravemente malato, un canto di lode e di speranza nelle sofferenze della croce) diventa così una pagina nuova nella religiosità popolare delle nostre valli alpine, ora che i parroci- maestri che proprio Maria Teresa volle nei paesi di montagna sono sempre più rari, ma sollecita anche una più consapevole presa di coscienza civile. Per tutti, in una sede aperta, adeguata agli incontri e ai confronti nel rispetto e nell’aiuto reciproco.

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