La spia accesa dalla scuola

Si chiude un anno scolastico. Un normale appuntamento che scandisce le nostre vite nell’arco temporale definito della “giovinezza”, e che le distingue dalla maturità e dalla vecchiaia. Contesto comune di questa stagione è la scuola, che un tempo – assieme alla famiglia – era considerata “agenzia educativa primaria”, ovvero luogo e agente fondamentale nella formazione e nello sviluppo delle persone, capace di trasmettere valori, conoscenze, abilità e competenze necessarie per la vita individuale e sociale.
Poiché è ormai assodato che ci troviamo di fronte (ma anche in mezzo) a un potente cambiamento d’epoca, con mutazioni di paradigma tali da mettere in discussione nozioni elementari e consolidate come “tempo” e “spazio”, appare lecito che – sul modello di quelli che tradizionalmente ci si scambia il 31 dicembre – si formulino degli auguri dedicati al nuovo anno scolastico e a chi ne sarà protagonista.

Il primo e più caloroso augurio è dedicato alla politica, a tutti i livelli (autonomie speciali comprese). Affinché non consideri la scuola un campo da occupare e dominare, senza alcuna considerazione per la salute delle piante che in quel campo vengono coltivate. Affinché non proceda con slogan propagandistici come quelli – riflessi sulla denominazione del ministero competente – che stabiliscono improprie equivalenze e alleanze tra “istruzione” e “merito”, ignorando e dileggiando principi e termini come “inclusione”, “solidarietà”, “bene comune” e tanti altri, più meno tutti ispirati al dettato costituzionale. Affinché non insista con la burocratizzazione del lavoro degli insegnanti che, come per i medici nella sanità, toglie la possibilità di coltivare la pratica ippocratica della “skèpsis” (l’osservazione e l’esame critico circa il valore della conoscenza) sul paziente, e quindi di sviluppare e affinare il cosiddetto “occhio clinico”. Affinché recuperi la considerazione per un luogo dove i giovani imparano a essere cittadini responsabili, relazionalmente ed emotivamente equilibrati; e non consideri la scuola come un’azienda per la produzione di “risorse umane”, più che altro dedita ad allenare alla competizione e a riempire il tempo di chi nella scuola vive con pratiche inutili tanto alla mente quanto all’anima. Poi, un augurio a tutti, affinché si riesca a considerare il disorientamento e il disagio giovanile come una spia accesa dalla parte più sensibile della società (è sempre stata così, in tutte le epoche, non solo dopo la pandemia) … ad esempio rispetto alle ansie e alle frustrazioni delle generazioni meno giovani, consapevoli di aver costruito sistemi di relazioni e società affette dal complesso di Edipo, che si traduce nel bisogno di sfidare l’impossibile e l’illecito, e dal complesso di Narciso, teso alla pura affermazione di sé, senza leggi né regole. Affinché si recuperi il cosiddetto “complesso di Telemaco” (dal nome del virtuoso figlio di Ulisse) che, muovendo da uno schema di valori ricercato insieme e condiviso, testimoni il rispetto per una legge superiore e per la maestà della vita, l’invocazione a vivere con slancio e vitalità su questa terra, con senso del limite e possibilità di trasmissione del desiderio da una generazione all’altra.

Un docente di religione di lungo corso nei licei trentini come Marco Luscia ha affidato alle pagine di un libro dal titolo molto evocativo – “Maledetti giovani. Tra paure e speranza” – le proprie esperienze e riflessioni di una vita a contatto con i (più) giovani. Ha chiuso così un incontro di presentazione in una parrocchia romana: “Questi i miei compiti delle vacanze: imparate ad annoiarvi (magari con un bel libro), e cercate di innamorarvi”. Come dargli torto… ?

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