Quel quadro di Segantini e il corso per venti ciabattini

lo spunto

Gli anni della mia infanzia sono stati gli ultimi del medioevo a Storo. Ho “visto” il medio evo, ho annusato gli odori della polvere nelle strade e le esalazioni degli animali. Famiglia matriarcale, dignitosa miseria, le visite ai santuari, dialetto parlato e scritto: la vita dell’infanzia, un mondo pieno di giochi, per lo più in squadra, racconti del nonno Gioàn, l’emigrazione americana, i riti della religione cristiana declinati sul calendario liturgico. Due Messe al giorno e un’infinità di processioni (…) E poi quei versi struggenti di Gozzano recitati alla vigilia di Natale, la scuola con i suoi pochi libri e i banchi di legno massiccio, il profondo rispetto per gli insegnanti …

(Gianni Poletti, “Nostalgie”)

La rivista “Judicaria”, voce dell’omonimo Centro studi, dedica l’articolo portante del n°119 – assieme all’Associazione culturale “il Chiese – alla figura del dirigente scolastico, scrittore e ricercatore Gianni Poletti (1939-2023), presentando l’ultimo suo libro “Nostalgie, cartoline dal mio Medio Evo”. È quasi un “testamento spirituale”, che mira non tanto a rimpiangere un mondo che non c’è più, ma a riflettere sulla modernità e i suoi problemi. Prende però spunto da valori, tradizioni e atteggiamenti “medievali” in quanto riferiti ad una civiltà contadina millenaria, agganciata direttamente al mondo classico, romano e cristiano,non certo ad un vecchiume obsoleto meritevole di essere spazzato via da una modernità che spesso non porta progresso, ma tensioni, violenze, guerre, solitudini e incertezze. In questa prospettiva tutto il numero di Judicaria, scandito dal direttore Alberto Folgheraiter con competenza storica e passione civile (che è l’anima della storia), si presenta quasi come un pro-memoria del come trar partito dal passato per ispirarsi al nuovo che bussa alle porte. Racconta storie e situazioni passate che hanno consentito ai territori e alle loro popolazioni di resistere a invasioni, occupazioni, distruzioni ed esodi “biblici” (non solo l’emigrazione, ma anche il trasferimento forzato di interi paesi allo scoppio della Prima guerra mondiale, che fa pensare drammaticamente a ciò che sta avvenendo a Gaza, come negli altri Paesi dove i fuochi di guerra restano sempre accesi).

Di fronte a questa situazione, ci si chiede spesso “che fare”? Non vi sono soluzioni precostituite e non bastano le scorciatoie, ma possono esservi ispirazioni e indicazioni di strade possibili, ricavabili dalla Storia e tali da impedire alla società di smarrirsi. La vignetta d’apertura della rivista del pittore Paolo Dalponte assume in questa prospettiva l’intensità di un articolo di fondo, non solo di un disegno satirico. Oltre alla testimonianza di Poletti altri due articoli aiutano questa riflessione. Il primo riguarda l’acquisto da parte del Comune di Arco di un grande e stupendo dipinto di Giovanni Segantini “Sole d’autunno” (Vacca bianca e contadina alla fontana) riscattato coraggiosamente dal mercato privato e dalla speculazione che spesso lo circonda per essere assicurato alla preziosa collezione segantiniana che il Comune sta costruendo. Molti ricorderanno come un altro splendido Segantini costituisse vent’anni fa l’opera di apertura (e di fatto il manifesto introduttivo) del Mart, museo d’arte moderna, quando fu aperto a Rovereto. In quell’occasione molti critici ed artisti (e piace ricordare i nomi del professor Pierangelo Schiera e del pittore Paolo Vallorz) suggerirono al Mart (che significa Provincia) di acquistare l’opera segantiniana, ma il prezzo considerato eccessivo bloccò ogni decisione: la perdita d’occasione e d’immagine subita dal Mart risultò tuttavia ben maggiore della cifra richiesta. Anche nel caso dell’acquisto di Arco i prezzi di mercato per il Segantini erano altissimi (6 milioni di euro la valutazione, 3 l’acquisto) e non sono mancate le opinioni dubbiose o contrastanti, ma se si guarda al patrimonio che alla comunità è stato garantito appare certo una spesa ben più meritevole dei tanti denari che l’autonomia spende per rotatorie stradali o sussidi spesso clientelari.

Il secondo articolo di Judicaria su cui soffermarsi si riferisce al mondo del lavoro ed ha per titolo “Attivato nel 1903 a Tione un corso per 20 ciabattini”. Quali conclusioni, quali “lezioni” trarre da questi due articoli che si riferiscono al passato? Che anche nella modernità arte e artigianato, assieme all’agricoltura con le sue sapienze millenarie restano le risorse portanti del Trentino.

La sfida posta dall’artigianato è forse la più urgente perché sono soprattutto gli artigiani a mancare e ad essere sostituiti sempre più da (spesso bravissimi) lavoratori immigrati. Ma è l’artigianato che ha fatto la forza delle valli trentine e se viene a mancare è tutto un filone di identità che scompare. Il nerbo di una società. Ora però – si dirà – esistono le scuole professionali, ed è certo vero, ma palesemente non bastano se viene a mancare il contatto, il tirocinio diretto con la bottega artigiana e con il suo “maestro”, il passaggio di competenze, abilità e umanità da una generazione all’altra. Ecco i temi che la notizia storica richiama con la necessità di riconoscere, incentivare, valorizzare anche socialmente le botteghe e gli artigiani che resistono, ed è un compito che riguarda tutti, non solo la Provincia o le categorie, ma i Comuni, la Cooperazione, le associazioni civili. E così per l’arte che non può limitarsi ad una pura espressione individualistica, ma necessita di una cornice culturale di conoscenza e vita che solo una scuola fatta di impegno diligente, curiosità ampie, rispetto reciproco può offrire, assieme ad una comunità che pone al primo posto il bene comune rispetto ai diritti individuali. In questo senso anche il “medioevo” va ripensato tenendo presente che certe pratiche di culto pubblico (le processioni ad esempio) non erano ostentazioni, o superstizioni, o imposizioni, ma momenti di esercizio di una coesione comunitaria.

Altre riflessioni sugli articoli di Judicaria si potrebbero aggiungere, ma basti riflettere sul messaggio di fondo: che nei momenti di incertezza e difficoltà è sempre utile richiamarsi alle “historie” come suggeriva il Foscolo, alle esperienze passate che non sono rottami da gettare in discarica, ma invece nascondono semi di speranza per il futuro.

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