22 giugno: Santissimo Corpo e Sangue di Cristo – C
Letture: Gen 14,18-20; Sal 109; 1 Cor 11,23-26; Lc 9,11b-17
«Dategli voi stessi da mangiare» (Lc 9, 13)
Esistono realtà così presenti nella vita da rischiare di essere banalizzate dall’uso. Una di queste è l’Eucaristia. Si tratta di un mistero talmente profondo da risultare incomprensibile e, contemporaneamente, talmente quotidiano da perdere quella connotazione di salutare scandalo percepibile nel dubbio espresso dai primi ascoltatori di Gesù: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?» (Gv 6,52).
Per riattivare la consapevolezza del mistero che ci rende chiesa, la liturgia ci convoca oggi attorno a Gesù, mentre proclama l’avvento del Regno (Lc 9,11b-17) e offre se stesso per noi (1 Cor 11,23-26). Come i primi discepoli vogliamo lasciarci scandalizzare e ferire da un dono-responsabilità che plasma la nostra identità. Celebrare l’Eucarestia significa, infatti, scegliere chi vogliamo essere e che cosa vogliamo fare della nostra vita. Ricevere l’Eucarestia è pronunciare il nostro “amen” alla proposta di Gesù di divenire Lui, lasciandoci lentamente trasformare in persone e comunità eucaristiche, prolungamento della Sua umanità nella storia.
Per spiegare questo ai Corinzi, Paolo utilizza il termine “alleanza” che nelle Scritture sintetizza il lungo cammino di Israele con il suo Dio. Gesù rende, tuttavia, questa alleanza nuova giocandosi in prima persona, spezzando il proprio corpo e versando il proprio sangue. L’alleanza non è più, dunque, un patto basato sull’impegno reciproco, ma è un dono gratuito d’amore; è irrevocabile perché fondata sulla fedeltà di Dio.
Proprio perché è “per sempre” noi discepoli di Gesù attendiamo la piena comunione di vita con Lui quando Dio sarà, finalmente, «tutto in tutti» (1Cor 15,28). L’Eucaristia è perciò segno del futuro sognato da Dio, in cui tutto ritroverà senso: «Tutto ciò che vive, tutto ciò che è bello, fino all’ultimo filo d’erba… tutto sarà vivo, per sempre. Persino il dolore, persino la morte hanno un senso, divengono i sentieri della vita» (Atenagora).
Nell’attesa, la comunità dei discepoli è chiamata a celebrare l’Eucarestia per divenire Eucaristia accogliendo l’invito di Gesù: «Dategli voi stessi da mangiare» (Lc 9,13). Non si tratta soltanto di risolvere il problema di sfamare con pochi pane e pesci una folla immensa, ma di vivere offrendo il poco che siamo perché tutti abbiano vita. Per gli apostoli il poco non basta; ma per Gesù, che crede nella presenza del Padre e nella forza dell’amore, anche il poco è sufficiente. In fondo, abbiamo sempre poco tra le mani rispetto alle necessità del mondo: poca speranza, poco coraggio, poche forze, poco denaro… Ma questo basta quando è fecondato dalla potenza della fede e dal desiderio di condivisione.
Di fronte alla cecità degli apostoli, Gesù stringe nelle mani il poco offerto, alza lo sguardo al cielo, pronuncia la preghiera di benedizione, spezza i doni e li offre così che tutti possano mangiare e saziarsi. In questi gesti il miracolo diventa segno; il poco basta quando viene benedetto, spezzato e condiviso da chi non chiede nulla ma offre se stesso.
Per celebrare e vivere l’Eucaristia anche noi siamo chiamati a vivere questo amore: non possiamo spezzare il Pane se il nostro cuore è chiuso ai fratelli; non possiamo condividere il Sangue se non facciamo nostro il grido di chi è scartato e vive ai margini. Per questo le nostre Eucaristie trasformeranno il mondo soltanto se trasformeranno noi stessi.
Chiediamoci: le nostre celebrazioni sono una sfida a conoscere chi stiamo seguendo e a verificare la verità del nostro essere discepoli?