Se si eccettuano le polemiche di rito, quelle che ripropongono i soliti stereotipi delle (finte) zuffe da cortile fra i partiti per le regionali e roba simile, il panorama della nostra politica interna è terribilmente piatto. La politica internazionale è più che mossa, ma solo il governo, anzi solo la presidente del Consiglio e il ministro degli esteri, ci si impegnano in qualche modo. Per il resto calma sonnacchiosa, con qualche piccola turbolenza giusto sulla riforma della giustizia e sul problema della cittadinanza agli immigrati.
Per la verità anche in quei campi non è che assistiamo ad un particolare fervore. La riforma della giustizia, ridotta di fatto al problema di rompere il corporatismo del CSM legato al sistema correntizio dell’ANM, non gode di particolare popolarità. La gente la considera una lotta interna fra politica e corporazioni dei magistrati (ben lontane dal coinvolgerli veramente tutti) e non vede dalla separazione delle carriere né prospettive rivoluzionarie, né sfracelli del sistema costituzionale. Come si è detto, tutto si riduce al tema, non proprio facilissimo da spiegare al grande pubblico, di avere due diversi CSM per magistrati inquirenti e magistrati giudicanti, il che non ha tanto a che fare col fatto che altrimenti non c’è dialettica fra le due parti (a volte c’è già, a volte no, ma dipende dalle circostanze), quanto col fatto che nella determinazione delle carriere e delle collocazioni nell’attuale CSM comune si esercitano condizionamenti reciproci, per altro previsti e non avversati dal quadro legislativo attuale.
Spiegare agli elettori questa faccenda quando si andrà al referendum confermativo della riforma costituzionale sarà quasi impossibile, per cui finirà per essere una battaglia di slogan fra minoranze contrapposte, ciascuna portata ad inventarsi immaginarie tragedie incombenti. Col rischio che la battaglia sia guidata dagli estremisti delle due sponde, il che porterà a risultati discutibili (ricordiamoci che non c’è quorum) e a spaccature ulteriori del consenso che si polarizzerà fra gli indifferenti (che probabilmente si asterranno) e le varie fazioni in lotta.
Non una bella prospettiva per un Paese che di un serio miglioramento del servizio della giustizia che si deve garantire al cittadino ha davvero bisogno. Sarebbe bene che su questi aspetti (lunghezza dei processi, cavillosità eccessiva delle normative e procedure, abnorme esigenza di portare qualsiasi contenzioso davanti ad un giudice che ne decide burocraticamente) ci si desse da fare per trovare idee di riforme serie e possibili, che sono altra cosa dalla mania di denunciare che non funziona nulla.
Discorso non troppo dissimile andrebbe fatto per la questione dell’integrazione dell’immigrazione regolare, entro cui sta la questione dell’acquisizione della cittadinanza italiana, ma non solo. Al solito la pessima idea radicaloide di infilare tutto in un referendum, finito nel modo che è noto, blocca ora qualsiasi discorso sul mettere mano ad una questione che è essenziale per il nostro futuro, perché, piaccia o no, dell’immigrazione per un bel po’ di decenni non potremo fare a meno (senza contare che comunque c’è il fatto che quella già presente va in qualche modo gestita).
Ancora una volta le idee scarseggiano e i mantra populistici, tanto di destra quanto di sinistra, impazzano. Il vice premier Tajani sta riprovando a presentare la soluzione, parziale ma niente affatto disprezzabile, del cosiddetto ius scholae, cioè la cittadinanza all’immigrato che ha compiuto un ciclo scolastico decennale nel nostro Paese. Nel clima attuale, però, per non dico far passare, ma per evitare almeno l’ostracismo a priori, FI è costretta a punteggiare la proposta del proclama che non si tratta di percorsi facili, che comunque non è disposta a discuterne con le opposizioni, ma solo, al massimo, ad accettarne i voti sulla proposta non negoziabile, e via di seguito.
Si capisce bene che così non si andrà da nessuna parte, perché non si allargano i consensi sventolando che si tratta di misure da prendere con cautela, perché si tratta di materia pericolosa. Peraltro le opposizioni su quel terreno non sono capaci di mettere insieme una proposta comune slegata dalle ideologie pseudo-universalistiche, sicché si rivelano altrettanto scarse di vere idee riformatrici. Del resto il problema dell’integrazione non si raggiunge né col solo percorso scolastico (un meccanismo non esattamente ben oliato), né senza porsi il tema della acculturazione al nostro contesto degli immigrati fuori dell’età scolare.