lo spunto
Trasformare il Trentino in una provincia capace di avere livelli economici simili a quelli dell’Alto Adige, oggi distante 7 miliardi di Pil può non essere un processo semplice o veloce, ma uno che è doveroso intraprendere. Energia, innovazione, investimenti e capitale umano e soprattutto un impegno comune tra imprese, università e Provincia.
Questa la linea tracciata dal presidente di Confindustria del Trentino Lorenzo Delladio e dal rettore dell’Università di Trento Flavio Deflorian per la crescita economica della provincia.
(Il T Quotidiano, giugno 2025)
Ha avuto vasta eco sulla stampa la notizia che il vicino Alto Adige ha sorpassato (con distacco) il Trentino quanto a Pil, prodotto interno lordo, un parametro standard usato dagli economisti per valutare la maggiore o minore prosperità di un’economia, riferendosi soprattutto a produzione e scambi, un indice significativo anche se non corrisponde automaticamente ai livelli di vivibilità e qualità della vita di un territorio. È utile al Trentino tener conto di questa indicazione non tanto per stilare graduatorie di merito: l’Alto Adige risulterebbe più economicamente attrezzato e più “appetibile” anche se avesse un indice inferiore, come ben sanno i tanti Trentini che lo preferiscono per le loro gite domenicali o per un semplice piatto di speck con schiavetta leggera (più bevibile, salvando il Teroldego, dei vini “super titolati”, spesso troppo pesanti e troppo alcolici).
Le graduatorie, in questo senso, dicono poco e semmai possono servire come premi di consolazione. L’Alto Adige, infatti, si trova al primo posto, quanto a Pil fra le regioni italiane, ma il Trentino può ben “consolarsi” perché si trova pur sempre sul podio, al secondo posto. Il Trentino è cresciuto dell’11,8 per cento lo scorso anno, non poco per un’economia già matura e ricca a fronte di un 24,7 per cento di Bolzano che partiva da condizioni diverse e quindi si tratta di capire, valutando i parametri, non tanto cosa occorre fare per crescere ancora, ma piuttosto “come” fare per ridistribuire entrate e reddito, per ovviare alle carenze che ognuno avverte e conosce. Basta citare, a questo proposito nel Trentino, il problema della casa, non riconducibile solo agli affitti brevi turistici, ma agli alloggi spesso introvabili per i lavoratori (anche stagionali) e con costi inarrivabili per i residenti, oppure la desertificazione dei centri storici per effetto degli affitti troppo alti dei negozi, delle vendite on-line e delle terze generazioni che vendono e se ne vanno, per non citare i paesi di montagna che non bastano i “bandi” e i “servizi” che pur non mancano a ripopolare.
Questi sono i problemi da mettere a fuoco, per non ricorrere a soluzioni che poi, pur con i migliori propositi, rischiano di risultare deludenti. Di fatto gli investimenti sono certo importanti e necessari, ma al primo posto, ci sembra, andrebbero messi quelli in capitale umano (compresa la preparazione e la capacità di lavoro manuale) rispetto, alle macchinette informatiche e al loro uso.
Se si raffronta infatti la situazione del Trentino con quella dell’Alto Adige, va infatti rilevato prima di tutto che l’autonomia non è stata promossa per diventare i primi della classe, ma per convivere insieme in pace e possibilmente per imparare l’uno dall’altro. E in secondo luogo va sottolineato come l’Alto Adige” si trovi con una popolazione di fatto bilingue, potendo contare su due mercati “naturali” (non occorre “conquistarli”) in molti settori (dal turismo all’immobiliare, dall’agricoltura all’artigianato), mentre nel Trentino la lingua tedesca è ancora poco insegnata e conosciuta. L’inglese da solo non basta. In un territorio che è di cerniera fra area mediterranea e mondo germanico (che si prolunga con le sue varianti fino ai paesi scandinavi, fino al circolo polare) l’inglese è necessario, ma non sufficiente.
Altri elementi dei quali tener conto sono l’alta qualità e radicamento della presenza artigiana in Alto Adige, l’orgoglio del proprio mestiere (i cuochi indossano la loro “divisa” bianca anche alle assemblee della categoria, i Bauer portano il grembiule azzurro, sia pur ripiegato sul petto, anche nei giorni di festa…) che porta l’Alto Adige ad esprimere continuità professionali (e familiari) che costituiscono anche crescita ed affinamento di competenze difficilmente riscontrabili altrove.
E se per dare vita e lavoro alle comunità decentrate, ai paesi delle valli, il Trentino ha sviluppato la cooperazione, l’Alto Adige ha saputo trasformare i suoi masi di montagna da “eredi della solitudine”, residui quasi medievali come venivano accusati spesso di essere, in presidi territoriali radicati e motivati. Il Wirt con la sua famiglia è signore della sua casa e della sua terra, capisaldi di una presenza e di una resistenza sulla montagna che è diventata anche promozione turistica di grande successo.
Viene allora da chiedersi, nel raffronto fra le due province, quali debbano essere gli investimenti più appropriati nel Trentino che soffre la carenza di un artigianato in grado di corrispondere alle sue richieste, con la necessità di rivolgersi sempre più ad abilità immigrate, che accusa l’abbandono di attività anche consolidate come nel settore commerciale ed alberghiero. Si tratta forse di rimotivare ruoli e presenze, identità e funzioni, partendo dalla scuola e dal lavoro. Non per essere i primi della classe, ma per proporre una società più equa, più giusta ed equilibrata.