L’amore e i doni di una vita sono già eternità

Mons. Lauro Tisi con il testo della sua decima “Lettera” che sta destando interesse anche a livello nazionale. Foto (c) Gianni Zotta

lo spunto

Quando la incontrai, agli inizi della mia visita pastorale, non le rimaneva molto da vivere. Un marito e quattro figli, un’attività a gestione familiare ben avviata, molti sogni ancora da coltivare. Improvvisa e aggressiva la comparsa della malattia e un epilogo segnato. Anna (il nome è di fantasia) mi chiese di conferirle l’unzione degli infermi che volle ricevere davanti ai propri figli: “Ci tengo – mi confidava – a mostrare loro come si può compiere l’ultimo passo da credenti. Nella certezza che non potrà essere l’ultimo”.

Nel cuore mi restano i suoi occhi rigati dalle lacrime ma pieni di coraggio e di speranza, quasi a gridare, attraverso quelle pupille lucide che l’amore donato e ricevuto è troppo bello per immaginarlo come una strada senza uscita, un biglietto a tempo. L’amore è garanzia di sopravvivenza. Niente e nessuno potrà cancellarlo. La vita di quella donna, spezzata troppo presto, è già qualcosa di eterno.

Lauro Tisi, Arcivescovo di Trento

(dalla Lettera “Al di là”, 26 giugno 2025)

“Quella vita, spezzata troppo presto, è già qualcosa di eterno”, avverte l’arcivescovo Lauro Tisi già nella prima pagina della “Lettera alla comunità” che ha inviato alla Diocesi nella ricorrenza del suo protettore, San Vigilio. Una Lettera che, con i silenzi che evoca, sovrasta i clamori della festività patronale, le polente rubate e difese, le disfide e le “tonche” e affronta quella dimensione di eternità che si apre con la morte, quell’“al di là” con cui ogni essere umano si confronta sentendolo prossimo. Non solo perché a tutti tocca l’ultimo passo, ma per la “dipartita” dolorosa di persone a noi vicine e care, per le morti improvvise di giovinezze spezzate, per il decadere nell’età anziana, le guerre o la tragica violenza sulle vite di bambini e donne che la cronaca rimbalza quotidianamente sulle nostre esistenze.

Restiamo avvolti di dolore e solitudine, e poi?

A questo interrogativo cerca di rispondere la Lettera con il suo titolo esplicito “Al di là” per il più grande mistero che attende l’umanità, ed è un testo breve, quello edito da Vita Trentina, che sicuramente colpisce (“Lettera shock” ha titolato in copertina il settimanale diocesano nel diffonderla ai suoi abbonati) e si propone come uno dei contributi più alti che mons. Tisi ha finora offerto alla comunità di cui è pastore, già apprezzato anche in altre Diocesi e a livello nazionale.

Un contributo coraggioso e profondo, umano e cristiano allo stesso tempo, nel quale l’Arcivescovo ha immesso tutto il suo essere uomo e sacerdote (dolori e gioie, studi e contatti personali, dubbi, ricerche e certezze) per condividerlo con l’intero gregge che gli è stato affidato: ai cristiani e a chi si sente lontano, a chi spera e ancor più a chi dubita, a chi ha paura, soprattutto a chi soffre lo strappo di vita e d’amore che la morte comporta, il vuoto che si apre nel tempo, nello spazio, negli affetti.

Mons. Tisi non blandisce questi dolori, non ricorre a parole consolatorie. Ma a tutti dice che l’eternità non è un “buco nero” senza fine come quello che sembra inghiottire le stelle; cita invece il Vangelo di Giovanni per suggerire che “la vita eterna comincia ora”(“Chi crede ha la vita eterna” Gv 6,47) e “l’al di là” è il proseguire in un’eternità già iniziata in questa vita: “Dio è il Dio della vita e se tu sei in Lui entri nella vita vera, una vita che non ha più bisogno né di spazio né di tempo”. Essere vivi, allora, è frequentare il modo di vivere e di operare di Gesù”.

“L’eternità – spiega a proposito l’Arcivescovo – per chi crede in Gesù, il Figlio crocefisso e risorto, non comincia solo dopo la morte corporea, ma nel momento storico presente, pur con tutta la sua precarietà e fragilità. La Risurrezione non ha bisogno di visioni celesti. Chi è in Cristo, anche se muore vive per sempre”. “Proprio perché la vita eterna è già qui, operante in noi, il futuro non fa più paura, diventa certezza. Sulla quale costruire la propria vita sulla linea del dono, come fece Gesù. Ancora dal Vangelo di Giovanni: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”. Il dono, “donare”, diventa dunque il tratto distintivo dell’eternità, l’anello di congiunzione fra ciò che si è amato nella vita (aiutato i fratelli, le sorelle, chi aveva bisogno) e ciò che si vive nell’”al di là”, nell’eternità.

Colpisce subito in questa Lettera il coraggio di affrontare un tema che la cultura del nostro tempo tende a rimuovere o a considerare tabù: l’Arcivescovo vuole mostrare senza pudori o mascheramenti il suo personale dolore di uomo negli incontri con chi è stato privato di una vita cara: i genitori di un figlio o di una figlia, il coniuge di un marito o di una moglie, la comunità di un suo componente buono, un fratello o una sorella.

A questi strappi mons. Tisi non offre risposte consolatorie e non si riferisce neppure a idealità forse possibili da capire ma che appaiono spesso astratte. Si richiama invece al Vangelo, rifacendosi all’esperienza diretta del Cristo, a una continuità vitale fra “al di qua“ e “al di là”. Le sue argomentazioni conducono alla riflessione di una continuità, nell’amore, nei doni reciproci di cui si compone un’esistenza umana, e che vivono anche dopo la morte. L’eternità. Sono i doni di una vita che vincono la morte. Per questo chi ci ha amato e chi abbiamo amato, resta sempre, come diceva Sant’Agostino, accanto a noi, dove noi siamo.

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