«La sua vita non dipende da ciò che egli possiede»

3 agosto: Domenica XVIII – Tempo Ordinario C

Letture: Qo 1,2; 2,21-23; Sal 89; Col 3,1-5.9-11; Lc 12,13-21

«… la sua vita non dipende da ciò che egli possiede» (Lc 12,15)

Le letture di oggi esplorano un tema particolarmente attuale: il rapporto con i beni. Non si tratta di una riflessione socioeconomica, ma del punto di partenza per interrogarci a riguardo del senso della vita: che cosa può dare significato all’esistenza? Stiamo accumulando tesori per noi stessi o davanti a Dio? (v. 21)

«Uno della folla» chiede a Gesù di mediare in un problema di eredità. Si tratta probabilmente di un fratello minore che rifiuta di mantenere il regime di proprietà indivisa, molto comune all’epoca. Non essendo il primogenito ha bisogno di un sostegno autorevole, estraneo alla famiglia, per giungere ad un accordo con il fratello maggiore.

Gesù, rispondendo in modo molto secco, esprime la volontà di non farsi coinvolgere. Il lettore attento si interroga: com’è possibile che Gesù, normalmente molto attento verso tutto ciò che concerne l’uomo, rifiuti di prendere posizione? La reazione diviene chiara quando analizziamo la richiesta dell’uomo sullo sfondo del vangelo di Luca. Precisiamo che non si tratta di una questione di giustizia sociale ― un orfano o una vedova derubati della loro eredità ― ma di una disputa tra fratelli per problemi di soldi. Nel terzo vangelo la ricchezza è spesso dipinta come iniqua (16,11); come un potere opposto a Dio; come una pietra d’inciampo nel cammino del discepolo (6,24; 18,25; cfr. 16:1-31). Per questo la sequela Christi esige una scelta radicale: «Non potete servire Dio e la ricchezza» (16,13).

Tuttavia, Gesù non esita ad invitare l’uomo a compiere un cammino per rispondere alla domanda che inconsapevolmente ha posto, la domanda a riguardo di ciò che dona valore alla vita. Per facilitare la riflessione racconta una parabola a riguardo di un uomo che grazie alla propria intraprendenza ha accumulato una grande ricchezza. La nota stonata è rappresentata dal focus: l’accento è posto sui miei raccolti, i miei beni. Futuro e sicurezza sono posti in ciò che ha accumulato mentre manca la consapevolezza che il bene più grande, la vita, non gli appartiene (v. 20). La vita è, infatti, un prestito che occorre restituire a Dio. La sapienza del ricco si rivela, perciò, come stoltezza: ciò che ha accumulato apparterrà ad altri, e magari fomenterà lotte familiari come quella accennata all’inizio del racconto.

Qual è dunque la vera sapienza? L’ultimo versetto dona la chiave interpretativa contrapponendo due sapienze: una sapienza umana, parziale, tesa all’accumulo di beni; ed una sapienza divina che gode ogni aspetto della realtà, che lavora, lotta, si impegna, assume le proprie responsabilità nel mondo, nella consapevolezza che la propria vita appartiene ad un altro. La prima produce l’idolatria dei beni, il grande idolo a cui sacrificare persone e popoli. La seconda utilizza la ricchezza come strumento al servizio del regno, per rendere il mondo un po’ più simile al sogno originario di Dio.

La parabola di Gesù riguarda, dunque, anche noi: dove è la nostra sicurezza? Nei soldi che possediamo, nello status sociale, o nel Dio vivente? Creati ad immagine e somiglianza di Dio come possiamo trovare la nostra realizzazione in qualcosa che non porta il suo nome? Lontano da Dio, la nostra vita è vuota.

Il testo non riporta la reazione di colui che ha posto la domanda: non sappiamo se l’incontro con Gesù ha segnato un cambiamento nella direzione della sua esistenza. Ciò che sappiamo è che Luca lascia il brano aperto così che ognuno di noi possa porsi la medesima domanda: chi è il Signore della nostra esistenza?

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