«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!»

17 agosto: Domenica XX – Tempo Ordinario C

Letture: Ger 38,4-6. 8-10; Sal 39; Eb 12,1-4; Lc 12,49-53

«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49).

 

La liturgia di oggi ci chiede di vivere il nostro essere credenti con una buona dose di… realismo! Credere è rischioso; la pace messianica non è un sonnifero e vivere i valori del regno spesso conduce ad emarginazione, ostilità e persecuzione. Il vangelo sintetizza tutto questo in una serie di detti incandescenti: la presenza di Gesù non porta pace ma conflitto; l’adesione a lui genera incomprensioni e divisione persino all’interno delle famiglie! Aderire al figlio dell’uomo, dunque, non ha soltanto conseguenze escatologiche (vv. 8-9), ma quotidiane: esclusione e persecuzione.

Queste parole sembrano contraddire altri testi lucani dove la venuta di Gesù è presentata come un’alba di pace (1,78-79; 2,14) e il suo vangelo come un annuncio di pace (7,50; 8,48;10,5-6; At 10,36). Come è possibile, dunque, che proprio l’annuncio di pace generi conflitto?

La risposta è nell’annuncio stesso. L’irrompere del regno nella storia umana relativizza ogni cosa, capovolgendo valori costituiti per offrirne di nuovi. Siamo portatori di un annuncio che brucia dentro, che obbliga a prendere posizione e rigettare il virus dell’indifferenza. Quando Gesù camminava per le strade della Galilea, donne, bambini e stranieri erano considerati non-persone; gli schiavi erano oggetti nelle mani dei padroni; lebbrosi, ciechi e poveri erano scartati ed emarginati. Eppure, lui, il Signore, si schierò apertamente dalla loro parte: toccò i lebbrosi, annunciò la buona notizia ai poveri e ridonò la vista ai ciechi; chiamò donne a seguirlo e le inviò ad annunciare la sua risurrezione. Seguirlo oggi è condividere lo stesso stile di presenza, convinti che un mondo altro è possibile perché la sua pace risveglia dal torpore della paura. Ma la pace “disarmata e disarmante” di chi ama, di chi non vuole possedere l’altro, di chi rinuncia alla vendetta, di chi apre la propria casa all’accoglienza, di chi costruisce ponti… genera un urto inevitabile con chi riduce la vita a sopraffazione, profitto e vuoto divertimento.

Scegliere Cristo è sicuramente il punto di svolta dell’esistenza, ma il discepolo deve imparare che il cammino di Dio va oltre l’anima lacerata dei suoi fedeli. Chi si è lasciato attirare da lui sa che la vita non può più essere più totalmente sua, totalmente pianificata. O meglio, aderire a Cristo trasforma la vita in un’esistenza segnata dalla croce, che non rappresenta però maledizione e condanna, ma solidarietà e salvezza. Se, da una parte, il legame con Cristo frantuma e distrugge, dall’altra, ricrea e costruisce.

Dinnanzi a questa scelta, il vangelo termina chiedendo di discernere, di giudicare ciò che è giusto (v. 54). Ciascuno è chiamato a trovare la strada nel rapporto personale con il Signore e a percorrerla fino in fondo, con coraggio e dedizione, nella certezza che il Dio che costruisce il nostro futuro non ci negherà la sua presenza.

Penso sia un invito a non vivere seguendo il pensiero dominante, accodandoci all’opinione della maggioranza. «Giudicate da voi»: siate profeti scomodi, fate divampare il fuoco che lo Spirito ha deposto nei vostri cuori! Come Gesù, anche noi siamo inviati non per venerare il tepore della cenere, ma per custodire il bruciore del fuoco; siamo una minoranza, un piccolo gregge ma siamo una manciata di calore, una scintilla di luce gettati in faccia alla terra, non per abbagliare, ma per illuminare e riscaldare quella porzione di mondo che è affidata anche alle nostre cure.

Chiediamoci: Scelgo o seguo l’opinione comune? Chi e che cosa scelgo?

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