7 settembre: Domenica XXIII – Tempo Ordinario C
Letture: Sap 9,13-18; Sal 89; Fm 9b-10. 12-17; Lc 14,25-33.
«Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo» (Lc 14,33)
La liturgia di oggi vuole rispondere alla domanda più profondo che ogni donna e uomo porta nel cuore: come posso essere felice? Le tre letture suggeriscono una risposta unanime: cerca la relazione con Dio. Essa sola è, infatti, capace di aprire orizzonti e permettere l’irruzione di una logica nuova, sapiente, nella storia. Il vangelo, con le sue parole taglienti, indica che questo si realizza soltanto in una scelta personale e totalizzante: la scelta della relazione con Gesù, nella sequela.
Gesù è in cammino, verso Gerusalemme, seguito dalla folla: non si rivolge però alla massa, ma ad ognuno in particolare: «se uno viene a me» (v. 26). Mentre la croce si affaccia all’orizzonte non è più possibile, infatti, rimanere nascosti nell’anonimato della folla e lasciarsi trasportare dall’entusiasmo collettivo, ma è necessaria una scelta personale, che sfida il modo con cui viviamo le nostre relazioni con gli altri e con i beni.
Il brano è scandito da due detti e due brevi parabole. I detti (vv. 26-27) offrono un messaggio chiaro: seguire Gesù comporta una rottura perché essere discepolo non può essere parte di ciò che siamo, ma è la nostra identità. Per questa ragione ogni altra relazione, anche la più vicina, passa in secondo piano. Gesù non chiede di non amare «padre, madre, moglie, marito, figli, fratelli, sorelle, amici…», ma di amare di più Lui, non permettendo all’amore umano di ostacolare e compromettere il nostro cammino di fede.
Per essere discepolo occorre, infatti, abbandonare modi di concepire la vita, scale di valori, appartenenze sociali. Essere discepolo, in sintesi, chiede di lasciare tutto ciò che è fonte di identità e di sicurezza, per deporre la propria esistenza nelle mani del Cristo. È abbandonare una coscienza di sé ed un passato noto, per un futuro imprevedibile, nel cui orizzonte compare la croce da portare con Lui (v. 27).
Una scelta di questo tipo non s’improvvisa. Per questo Gesù, attraverso il racconto di due brevi parabole (vv. 28-32), chiede ad ognuno di sedersi per valutare se stesso. Se la consapevolezza delle proprie possibilità è rilevante nella costruzione di un edificio, quanto più nella costruzione della propria esistenza? E come il re, anche coloro che sono in “marcia” con Cristo per lottare contro il potere delle tenebre (cf. 22,53), devono misurare le proprie forze per non essere annientati.
La conclusione del testo (v. 33), ci riporta ad un tema chiave del terzo vangelo. Luca conosce il pericolo delle ricchezze e chiede un atto di fiducia assoluto: la rinuncia ai beni. Dal ricco stolto che pone al centro dell’esistenza l’accumulo delle ricchezze (12,13-20), al notabile che si allontana triste perché incapace di condividere (18,18-30), a Zaccheo che pieno di gioia dona tutto (19,1-10), Luca incessantemente indica nel passaggio dall’accumulo al dono la possibilità di una vita nuova.
Rinunciare agli averi affettivi ed economici rappresenta, infatti, il segno concreto della volontà di essere discepolo del Crocifisso perché il regno di Dio è inconciliabile con ogni altra sorgente di sicurezza, economica o affettiva. Essere discepolo è scegliere di vivere nella logica della croce (v. 27), la logica folle dell’amore che giunge a donare la propria vita per gli altri, proprio come ha fatto Gesù. Solo seguendolo inizia il lento cammino di trasformazione della relazione con se stessi, gli altri e il mondo.
Sediamoci anche noi, con il vangelo aperto, e proviamo a rispondere alle domande che Gesù stesso ci pone.