«Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!»

12 ottobre: Domenica XXVIII – Tempo Ordinario C

Letture: 2Re 5,14-17; Sal 97; 2Tm 2,8-13; Lc 17,11-19

«Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!» (Lc 17,19)

Proseguendo il cammino verso Gerusalemme, Gesù entra in un villaggio anonimo, accolto da dieci lebbrosi. Luca esplicita il loro fermarsi a distanza, una distanza imposta dalla legge mosaica e dalle consuetudini sociali. La distanza è superata, tuttavia, dal loro grido – «Gesù, Maestro, abbi pietà di noi» – un appello accorato alla misericordia di Dio riflessa sul volto di Gesù.

Come in altri contesti, Luca sottolinea il vedere di Gesù (v. 14); Gesù vede queste persone, coglie la loro sofferenza e percepisce la loro disperazione. E proprio perché vede agisce: come Eliseo, Gesù non opera il miracolo, non tocca i lebbrosi e non prega su di loro, ma li invia dai sacerdoti. Forse, come nella prima lettura, il narratore vuole evitare d’identificare Gesù con un operatore di prodigi per sottolineare come la guarigione scaturisce dall’ obbedienza alla parola: «E mentre essi andavano, furono purificati» (v. 14).

La brevità della narrazione aiuta il lettore a comprendere che la guarigione fisica non è il climax, ma l’introduzione di un racconto che soltanto ora sta per essere narrato. Esso si apre con un passaggio da dieci a uno: «Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro» (v. 15). Uno vede (cf. 4,18; 18,41) e comprende il dono ricevuto: per questo interrompe il cammino e torna indietro. Il verbo ha indubbiamente un significato fisico ma indica anche un percorso interiore, un processo di conversione che per il lebbroso-guarito intraprende.

Soltanto a questo punto Luca svela l’identità di colui che ritorna: «Era un Samaritano» (v. 16). Con questo breve inciso, l’evangelista intende sottolineare che la misericordia di Dio non accetta di essere prigioniera dei confini umani: l’annuncio spezza ogni barriera costruita tra persone e popoli, perché il vangelo è destinato a raggiungere gli estremi confini della terra, in un movimento progressivo che partendo dalla Giudea si allarga ad abbracciare la Samaria e i confini del mondo (cfr. At 1,8; 8,1; 9,31).

Il ritorno è accompagnato da parole e gesti: il Samaritano loda Dio a gran voce e si prostra ai piedi di Gesù per ringraziarlo (v. 16). Con questi gesti, esprime la sua fede, una fede diversa da quella manifestata nell’obbedire alla parola di Gesù e camminare verso il tempio. È una fede che produce salvezza perché conduce all’incontro personale con il Dio-che-salva. I nove lebbrosi guariti, che non hanno riconosciuto in Gesù «colui viene nel nome del Signore» (19,38), sono rimasti all’esterno, nel regno del prodigio. Essi non hanno colto nel miracolo l’avvento del Regno presente nella persona e nelle opere di Gesù e non l’hanno accolto.

Soltanto lo straniero, colui che è “bollato” come eretico dal giudaismo ufficiale «dà gloria a Dio», associandosi alla lode di altri esclusi: il paralitico perdonato (5,25), la donna curva restituita alla sua dignità di «figlia d’Abramo» (13,13) e il cieco di Gerico a cui è restituita la vista (18,43). Lo straniero entra dunque a far parte del popolo di Dio, il popolo dei poveri-incontrati, il popolo che riconosce la presenza del Regno nei lineamenti umani di Gesù.

La salvezza ricevuta pone di nuovo l’uomo in cammino: «Alzati e va’» (v. 19). Gesù non trattiene ma invia: l’incontro trasforma la vita dei discepoli in sacramento di salvezza perché anche attraverso di loro il Regno di Dio possa continuare ad abitare tra gli uomini.

Chiediamoci: che cosa cerco? Segni prodigiosi o l’incontro con il Dio che salva?

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