Divisa tra due poli, l’instabilità elettorale della nostra politica

Abbiamo avuto il secondo test elettorale con le regionali in Calabria dopo quelle nelle Marche. Si intravvede una stabilizzazione di qualche tipo per il quadro politico italiano? Manco per sogno. Si potrebbe dire che al momento, prendendo per buoni, oltre i risultati accertati, quelli che sono ritenuti più che probabili nella prossima tornata d’autunno si dovrebbe parlare proprio di un certo equilibrio: tre regioni al centrodestra (Marche, Calabria, più il Veneto), tre al cosiddetto campo largo (Toscana, Campania, Puglia, se le urne confermeranno le previsioni).

Si delineerebbe un contesto in cui tutti, governo e opposizioni, potrebbero convenire che la competizione nazionale futura (nel 2027 se non ci saranno accelerazioni al momento non in vista) si baserà più che sull’illusione che una parte possa stravincere, sulla constatazione che il Paese, ovviamente quella metà che vota, è diviso fra i due poli e che per vincere il governo si devono spostare un po’ di voti da un campo all’altro, il che si può fare solo con politiche che abbandonino la postura della lotta fra angeli e demoni. È facile constatare che entrambi i blocchi sono al contrario dominati dal pensiero che si vinca solo radicalizzandosi il più possibile.

I test di Marche e Calabria non sostengono queste convinzioni. Nel primo caso ha vinto, con otto punti di margine, un governatore uscente che, a dispetto anche della sua storia, non è salito sulle barricate né prima, né durante la campagna elettorale, mentre il suo sfidante, scelto perché era un personaggio dei talk show, si è esibito in sceneggiate con bandiere palestinesi e quant’altro. Nel secondo caso il governatore uscente era di FI, con una storia pregressa nella DC, lontano dalle intemerate divisive, mentre il suo avversario, personaggio dei Cinque Stelle, si è battuto a suon di promesse di redditi di cittadinanza e abolizione del bollo dell’auto ed ha perso con 16 punti di distacco.

Ma non è questa realtà che al momento fa la musica. Nel destra-centro Salvini continua ad impazzare con le sue demagogie sull’eversione nelle strade e piazze, i suoi ritornelli sugli immigrati e repertorio noto e lo fa per condizionare la leadership di Giorgia Meloni (che non ha nemmeno lontanamente i numeri per scalfire), ma soprattutto per impedire che il successo del partito di Tajani possa guadagnare spazio per una linea di centro-destra moderato (nelle due ultime regionali FI è andata bene, anzi in Calabria benissimo).

Nel cosiddetto campo largo Schlein e i suoi collaboratori stretti continuano a predicare le meraviglie dell’alleanza con M5S a dispetto del fatto che in entrambi i test elettorali ultimi (ma anche prima) mostrino di portare un numero modesto di voti per assicurarsi i quali il PD accetta di dare spazio nei programmi ai veti e alle bandierine del movimento di Conte. Il contrasto fra i due partiti è tenuto per ragioni elettorali sotto il tappeto, ma i mugugni ci sono in entrambe le componenti (sempre più forti nel PD), mentre AVS fa furbescamente il terzo che se la gode osservando i due litiganti. Sia qui che nel destra-centro questa guerricciola fredda non potrà durare ancora a lungo.

Proprio la necessità di dare il via il prossimo anno alla preparazione delle elezioni nazionali del 2027 dovrebbe costringere gli uni e gli altri a chiarirsi, a meno che non persistano nell’illusione che tanto il problema è tenere insieme delle ammucchiate nella speranza che sia l’espansione dell’astensionismo a minare le capacità dell’avversario. Meloni, come ha detto il saggio ed esperto Giuseppe De Rita in una intervista, dovrebbe decidersi ad optare per spostarsi più decisamente verso il centro mettendosi alle spalle le nostalgie per la sua stagione di leader barricadiera. Il blocco delle opposizioni dovrà mettersi alle spalle le stagioni movimentiste da cui non sanno staccarsi personaggi che solo quel contesto conoscono e dovrà riprendere la postura, e soprattutto le competenze a livello di personale politico, di chi vuol proporsi come alternativa di governo.

Non c’è dubbio che i risultati che usciranno dalle urne delle prossime regionali metteranno altra carne al fuoco. Innanzitutto, perché – se andrà come previsto – sia in Toscana, che in Puglia e in Veneto vinceranno candidati con posture moderate e radici nel territorio (l’eredità di Zaia nel Veneto questo è, anche passando la mano al suo successore). Poi perché si vedrà come finisce la candidatura del pentastellato Fico in Campania, che se non vince con un netto margine o se, inaspettatamente perde, segna un de profundis per le velleità post grilline.

vitaTrentina

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