Piedicastello, un rione da riscoprire

Lo spunto
 

Penso a Piedicastello come ad un “valore aggiunto” cittadino e se fossi un fantasioso poeta dialettale scriverei così del rione in cui abito: “Al me caro Pedecastel, ades così prezios e comod da arivar e anca poderse comedar ala meio per tuti”. Domenica mattina 21 settembre nella ampia e ospitale piazza del nostro antico borgo ho visto, un brulicare festoso di tantissime persone per la tanto attesa “Bicicletada” della città. Un ribollire di genuini entusiasmi, i più piccoli che comandavano ai fratelli più grandi, ai genitori e pure ai nonni, tutti con la maglietta verde proposta dai bravi organizzatori. Ora che la piazza è ritornata compatta e armoniosa, elegante, si presta tantissimo a soddisfare le esigenze di vari gruppi per convegni, raduni, partenze come la Trento-Bondone per ciclo amatori, ri-organizzata dal “Marzola” di Povo e che un mese fa ha ospitato una tanto partecipata rimpatriata di vecchi piloti con le loro mitiche auto da corsa. Che dire poi del ricco (di tutto) mercatino mensile? Uno spettacolo! Un giorno sarei felice di risentire l’emozionante “campanò” dal campanile o rivedere la piazza, illuminata “solo” dai lampioncini veneziani sui balconi… 

Italo Leveghi

(Vita Trentina, 09 ottobre 2025)

Il quartiere di Piedicastello, l’antico insediamento fra il fiume e il principale dei Dossi che danno a Trento impronta e nome, non è diventato solo un “valore aggiunto” della città, ma anche un esempio e un segno di riscatto dalla banalità costruttiva di tanti settori edilizi recenti, che portano estraneità e solitudine a chi li abita. Come quelle caselle in verticale di “grattacieli”, proliferati in tutte le metropoli del mondo, urbane, marine, perfino turistiche, tanto da trasformarle in “non luoghi”.

Piedicastello ha saputo evitare questo destino ed ha saputo anche rilanciarsi mantenendo cordialità e misura al suo vivere quando alcune scelte urbanistiche e viarie di “modernizzazione” hanno minacciato di trasformare il quartiere in uno svincolo stradale, dopo averne fatto un possibile dormitorio industriale. La minaccia è stata evitata grazie a un ravvedimento dei centri politici decisionali della Provincia e del Comune, sostenuti però dall’orgoglio e dalla volontà di resistenza degli abitanti, degli esercenti ed artigiani che a Piedicastello lavoravano e lavorano, i quali mai hanno voluto andarsene (significativa in tal senso è stata la “resistenza morale” all’evacuazione suggerita dal pericolo di frane dal Doss negli anni Settanta), ma sempre hanno voluto rimanere, preparando tempi migliori.

La voglia di umanità ha vinto sulla razionalizzazione tecnicistica, ha proposto alternative, ha riciclato in positivo interventi potenzialmente distruttivi. Sta qui la speranza, che anche altri quartieri impoveriti e a rischio (il pensiero non va solo ad alcune periferie, ma allo stesso centro storico, sempre più svuotato di funzioni e relazioni che non siano quelle di fugaci aperitivi o di limitate visite festivaliere) possano seguire l’esempio di Piedicastello.

Il rione è nato come testa di ponte fra la cinta urbana e la rocca difensiva del Doss, snodo delle merci che risalivano e scendevano il fiume Adige verso la città e le valli, approdo dei Zatèri, gli uomini che conducevano al mare le zattere fatte coi tronchi d’albero, come ha raccontato in un suo bel libro Renzo Francescotti.

Il suo ponte (San Lorenzo) ha segnato il passaggio verso il popolare quartiere cittadino della Portèla, ma poi l’armonia del legame è stata spezzata dal cementificio e dai suoi fumi, dallo squarcio della cava sovrastante, scardinata dagli svincoli della circonvallazione… minacce mortali. Ma è stata sempre la cordialità della sua gente, la tenacia popolare nella fatica del lavoro, la voglia di restare comunità attorno a Sant’Apollinare a vincere le partite più difficili, a “fare” di Piedicastello un luogo di vita capace di completare l’offerta di vivibilità che Trento può offrire.

Gli alloggi operai per l’Italcementi potevano facilmente diventare un dormitorio; invece, costruiti a misura di famiglie, si sono trasformati in una piccola comunità radicata e affezionata, dove far crescere le nuove generazioni e ospitare laboratori di preziose attività femminili.

Anche il Doss Trento è stato salvato e preservato (negli anni Cinquanta si dibatteva seriamente se eroderlo trasformandolo in cava del cementificio) aperto ad una frequentazione più cordiale, anche se rispettosa della sacralità che il luogo sempre richiede per la storia e le memorie di difesa, sacrificio e spiritualità che trasmette.

Per chi poi da ragazzo lo sale a piedi (o vi allena le gambe in bicicletta) il Doss Trento rappresenta sempre un ottimo test preparatorio per le più impegnative salite al Bondone che , dalla Ca’ dei Gai si aprono verso Sardagna, per anni appuntamento indimenticabile per i ragazzi e le ragazze di tutte le scuole cittadine che raggiungevano Candriai e Vaneze con i loro maestri per la “Festa degli alberi”.

Piedicastello non invita solo a suggestive escursioni, ma anche a piacevoli soste dal momento che ospita due fra i più apprezzati ristoranti cittadini (ecco i profumi che Leveghi richiama nel suo “spunto”) presidio di una tradizione gastronomica senza capricci o barocchismi.

Il segreto? Anche in questo caso sta nella conferma che un quartiere prende vita da chi lo abita e lo lavora, che a Piedicastello la vita la danno gli abitanti che restano e le piccole attività commerciali e artigiane che si presentano come luoghi di incontro, non solo di servizi e di vendita, una “lezione” che varrebbe la pena imparare anche per possibili iniziative in situazioni urbanistiche diverse.

Ci si chiede al proposito: perché, quando concede licenze di costruzione l’ente pubblico non richiede spazi di cui disporre non per “megacentri” o nuovi centri commerciali che “svuotano” le città, ma spazi da riservare, anche con affitti agevolati, ad attività di artigianato o a esercizi dalla conduzione personalizzata in grado di rilanciare la piccola imprenditorialità familiare? Gli esempi di Piedicastello non sarebbero l’ultimo servizio che il rione storico, arroccato fra il fiume e la montagna, può offrire alla sua Trento.

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