A partire dalla prossima stagione invernale, Madonna di Campiglio introdurrà il numero chiuso di sciatori sulle proprie piste. Il provvedimento riguarda solamente un periodo di 15 giorni suddivisi in due «finestre», quella di Capodanno (dal 28 dicembre 2025 al 5 gennaio 2026) e quella di carnevale (dal 15 al 22 febbraio 2026). L’obiettivo dichiarato è quello di ottenere un “numero ideale” che non superi le 14mila presenze sulle piste.
(Corriere della Sera, ottobre 2025)
In questi mesi estivi si è discusso molto del progetto che prevede la costruzione di un nuovo edificio commerciale nell’area del Belvedere, a Madonna di Campiglio. Un après-ski, un ristorante, alloggi, servizi… Tutto in deroga agli strumenti urbanistici esistenti. Ma la vera domanda che dovremmo porci è: chi guadagna davvero da tutto questo? E a quale prezzo?
(Lettera firmata, Campiglio)
Due notizie vengono da Madonna di Campiglio, che è fra l’altro snodo degli impianti di risalita meccanici più remunerativi, per gli azionisti, di tutto il Trentino, anche perché sfruttano la tradizione alpina e alpinistica di un territorio di fragile ed incomparabile bellezza come il Gruppo di Brenta.
Si riferiscono ambedue ad iniziative che vorrebbero essere di sviluppo equilibrato, ma in realtà nascondono contraddizioni e insidie pericolose. La prima è l’introduzione del numero chiuso sulle piste da sci in alcuni periodi dell’anno che registrano il massimo afflusso; la seconda è segnalata dalla lettera che si fa portavoce di residenti e operatori economici della località, preoccupati della ventilata apertura di un altro locale “après-ski” nella zona, da aggiungersi dopo la “riqualificazione” dell’ex malga Zangola, alle strutture destinate all’intrattenimento. Nonostante il nome che vorrebbe suggerire riposo e relax, si sa cosa diventano, di fatto, questi “après”.
Non più luoghi dove bersi una cioccolata calda dopo una giornata di sci come al vecchio Suisse, ma centri di “movida”, musica ad alto volume sparata con i tappi di spumante verso montagne ridotte a sfondo di risonanza. Così l’“après”finisce per presentarsi non tanto come completamento di una giornata in montagna, ma quasi come sua alternativa, con lo sci (o la gita) ridotta a pretesto, a “trailer”, traino per il “dopo”. Si scia due o tre ore e poi si va a berci sopra. La discoteca d’alta quota diventa la vera meta, la montagna il contorno. Ma così un luogo si usura, si degrada nelle sue motivazioni, perde di significato. è il pericolo che corre Campiglio moltiplicando i suoi “après” posto che, dopo la Zangola (nella foto il progetto di ampliamento), si discute molto ora della prevista costruzione di un nuovo edificio commerciale nell’area del Belvedere, proprio nel cuore di Madonna di Campiglio. Un après-ski, un ristorante, alloggi, servizi… tutto in deroga agli strumenti urbanistici esistenti. Poi si mette il numero chiuso sulle piste, ma “l’overtourism” volgare resta , anzi aumenta, con i clienti che si riversano in discoteca, con le bollicine che sostituiscono i fiocchi di neve. Se Campiglio si allinea alle discoteche dell’hinterland metropolitano per musica “sparata” e intrattenimenti conseguenti, perderà il suo ruolo alpino e imprimerà alla sua montagna un carattere da stadio invece che di bellezze naturali da vivere ed esplorare. Il Grosté, lo Spinale, il Pradalago, Nambino, come stadi a cielo aperto invece che come montagna?
Forse è questo il futuro che qualcuno si aspetta (vorrebbe?) se c’è da prendere alla lettera le dichiarazioni di alcuni vertici delle funivie al “Corriere della Sera”: al cronista che obiettava come il “numero chiuso” sulle piste avrebbe penalizzato gli sciatori che raggiungono la località per la prima volta o per una sola giornata di vacanza, nei periodi nei quali chi lavora può ottenere le ferie (che sono i periodi turistici più affollati), rispetto a chi si procura un abbonamento o uno stagionale per tempo, avevano dichiarato che avviene così anche per le partite di calcio allo stadio e nessuno si lamenta: la gente scia poche ore, le altre ore della giornata le passa all’après ski. Sarà anche vero, ma è bene saperlo! Così si cerca, come molti amanti del vero sci suggeriscono, un’altra località minore (ve ne sono!) e magari si rispolverano le vecchie, ma sempre utili pelli di foca, che non si fa nemmeno troppa fatica ad usarle, ora che aderiscono bene agli sci e che salvano dall’incubo di finire fra gli sciatori da stadio, con la fila agli impianti e le discese con gli occhi all’indietro, invece che davanti sulla pista, per non essere investiti. Nel frattempo la montagna perde la sua faccia, la sua identità. Va detto che l’overtourism in pista deriva non dalla montagna in sé, ma dal fatto che la portata oraria degli impianti di risalita è via via aumentata fin quasi a raddoppiare, mentre contemporaneamente le piste sono state allargate, spianate e uniformate come stradoni perdendo quelle particolarità naturali che costringevano a rallentare, a curvare, a non lasciarsi andare come bocce su un biliardo alla ricerca di una velocità che finisce per venire a noia. È il rischio che corre una località se si omologa alle discoteche delle spiagge. Il successo di Campiglio è derivato dall’essere una delle capitali della montagna, al centro delle montagne più belle del mondo: capitale dell’alpinismo, degli alpinisti, delle guide alpine. Ma se ora diventa un centro che viene ricercato per l’”après” della movida, la vera domanda da porsi, come riporta la lettera speditaci da Campiglio, diventa: “chi guadagna davvero da tutto questo? E a quale prezzo? “Nessuno è contro lo sviluppo, né contro il turismo. Tutt’altro – scrivono i firmatari -. Viviamo qui, lavoriamo con il turismo, e abbiamo sempre creduto nella bellezza e nel valore di questa località. Ma proprio per questo non possiamo tacere di fronte a un progetto che va nella direzione sbagliata. Che non porta beneficio reale alla comunità, ma rischia di ferire per sempre uno degli ultimi spazi verdi del paese. Il Belvedere non dovrebbe essere un’area edificabile: è un luogo carico di significato, dovrebbe essere destinato a ben altri scopi”.
La conclusione della lettera: “Serve coraggio per dire di no. Serve visione per pensare a un futuro diverso, che non insegua il profitto immediato, ma metta al centro le persone, il paesaggio, la qualità della vita”