Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli

2 novembre: Domenica XXXI – Tempo Ordinario C

Commemorazione di tutti i fedeli defunti

Letture: Sap 3,1-9; Sal 41-42; Ap 21,1-5a. 6-7; Mt 5,1-12a

«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3)

Tra i tre formulari indicati per la celebrazione odierna, ho scelto di continuare a riflettere sul vangelo delle beatitudini proposto anche nella solennità di tutti i santi. La liturgia ci invita, infatti, a riscoprire “i santi di casa,” quel lievito nascosto che trasforma il quotidiano in esperienza di resurrezione, perché crediamo che «i santi sono germi di risurrezione. Essi soli possono orientare verso la risurrezione la cieca passione della storia» (O. Clément).

Guardando ai nostri cari che vivono in Dio possiamo riconoscere l’esistenza di una storia “altra” costruita da poveri, afflitti, miti, operatori di pace, assetati di giustizia e perseguitati (Mt 5,1-12a); una moltitudine immensa che da ogni angolo della terra si sta silenziosamente radunando, per ricomporre il corpo della sposa dell’Agnello (Ap 21,1-5). In questa prospettiva, la morte è la porta dolorosa che spalanca alla risurrezione, il seme di una storia nuova in cui Dio stesso: «Asciugherà ogni lacrima dai [nostri] occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate» (Ap 21,4).

Ma come “guardare” al mistero della morte? Mt 5,1-12 ci offre un sentiero da percorrere. La prima risposta viene… dalla grammatica! Mentre la prima e l’ottava beatitudine sono al presente («di essi è il regno dei cieli»), le altre hanno verbi al futuro: «saranno consolati; avranno in eredità la terra; saranno saziati; troveranno misericordia; vedranno Dio; saranno chiamati figli di Dio». In questo modo, Matteo mette in rilievo la duplice realtà del Regno: è già presente, ma attende di essere manifestato in pienezza.

Poveri e perseguitati sono coloro che già possiedono il Regno. Sono coloro che hanno scelto Gesù come il Signore dell’esistenza, coloro che fanno proprie le sue scelte ed il suo stile di vita. Utilizzando un’espressione di Paolo, sono coloro hanno assunto l’io del Figlio (Gal 2,20). Essendo, tuttavia, un prolungamento dell’umanità del Cristo, ne condividono il destino: sono perseguitati.

Le altre beatitudini possono essere lette come una concretizzazione della prima. I «poveri in spirito» sono puri di cuore, possiedono cioè un cuore unificato, semplice; per questo vedranno Dio, perché già ora leggono la realtà con uno sguardo contemplativo, lo sguardo stesso del Padre. Mentre camminano nella quotidianità vivono nella speranza, perché sanno in Chi hanno riposto la propria fiducia. Nella sofferenza e nella morte che li circondano, possono contemplare la risurrezione in atto ed essere, con la loro vita, profezia del compimento. Mitezza… misericordia… pace… giustizia sono manifestazioni di un cuore purificato perché povero.

Identificati con il Figlio, i discepoli sono chiamati a riconoscere la vita ovunque si trovi, ad affermarla e condurla a compimento; a non giudicare; a rifiutare ogni forma di potere e di ostentazione; a rivestirsi della forza debole del perdono. Camminando nella storia verso la parusia sono sollecitati ad abbracciare la logica misericordiosa del Padre, non solo per incontrare a loro volta misericordia (cf. 5,7), ma per rendere la misericordia incontrabile (cf. 18,33). Nasce da questa consapevolezza la gioiosa libertà che il vangelo comunica: il discepolo affronta il turbine della storia con la coraggiosa letizia di chi, sostenuto dall’amore del Padre, cammina sicuro verso una pienezza certa, anche se non ancora rivelata.

Chiediamoci: quale ‘beatitudine’ hanno incarnato i nostri cari che già vivono in Dio?

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