«…voi siete campo di Dio, l’edificio di Dio»

9 novembre: Domenica XXXII – Tempo Ordinario C

Dedicazione della Basilica Lateranense

Letture: Ez 47,1-2. 8-9; Sal 45; 1Cor 3,9c-11.16-17; Gv 2,13-22.

«…voi siete campo di Dio, l’edificio di Dio» (1Cor 3,9)

Celebrando la dedicazione della “madre” di tutte le chiese della città di Roma e del mondo, la liturgia non ci invita a onorare un edificio ma a riflettere sul nostro essere chiesa. Come leggiamo, infatti, nella seconda lettura l’edificio di Dio siamo noi (1Cor 3,9); siamo pietre vive di un tempio costruito su un fondamento sicuro – Gesù, cresciuto attraverso il sangue di tanti martiri e la testimonianza di una schiera immensa di «santi della porta accanto». Non importa se la nostra comunità si incontra in una splendida cattedrale, in una cappella nascosta, in un’aula scolastica o in un cortile… Siamo chiesa, perché il Risorto abita in mezzo a noi (Mt 18,20).

Paolo spiega che essere chiesa è dono e responsabilità:

È dono perché lo Spirito santifica la nostra esistenza e ci rende luogo santo. Come spiegava ad un giovane don Tonino Bello, un profeta dei nostri giorni, «…la basilica maggiore sei tu…: tu sei casa del Re, non catapecchia di periferia, non spelonca da trivio. Tu con la tua persona, la tua vita, per quanto squallida sia, tu sei basilica maggiore».

È responsabilità perché ci chiede di riconoscere “la basilica maggiore” che ogni essere umano è; ignorare, escludere o distruggere l’altro è distruggere il tempio stesso di Dio. Invidie, rancori mai sopiti, perdoni rifiutati, la volontà di affermare unilateralmente sé stessi, il disprezzo degli altri, e «quell’avarizia insaziabile che è idolatria» (Col 3,5) ci porta a percorrere la vita con una logica mercantile. E ciò non riguarda soltanto l’accaparramento del denaro ma la relazione tra le persone: è guardare l’altro senza vederlo, senza riconoscerlo, senza fargli posto, senza mai ascoltarne la voce, la storia, la vita.

Mi sembra provvidenziale, perciò, che proprio in questa domenica il vangelo ci offra un volto destabilizzante di Gesù, un Gesù che armato di «una frusta di cordicelle» fa piazza pulita: scaccia «tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi»; getta a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovescia i banchi… Aggiungo che cambiavalute e venditori di animali per i sacrifici erano collocati nel cortile più esterno del tempio, il cortile aperto ai non ebrei. Proprio nel luogo in cui tutti i popoli erano invitati a radunarsi per pregare YHWH, viene introdotto un “dio” altro: il profitto, il tornaconto, lo sfruttamento dei poveri. La vocazione di Gerusalemme di essere una luce accesa e un segno di speranza per tutti i popoli è oscurata dalla logica iniqua del guadagno.

Gesù s’indigna e agisce perché la casa del Padre suo è divenuta un luogo di umiliazione dell’altro. Se lo straniero è disprezzato e il pagano non è riconosciuto come figlio di Dio; se il povero non può entrare perché non può pagare il prezzo del sacrificio; se al disabile, al pubblicano e alla prostituta non è consentito di varcarne la soglia perché ritenuti impuri…il tempio cessa di essere la casa di Dio. Come Amos (5,21-25) e come Geremia (7,9-11), Gesù dichiara che il tempio non è un amuleto: il Dio-con-noi non è manipolabile e non può essere posseduto neppure dal popolo dell’alleanza.

Come predetto dai profeti antichi, il tempio diverrà «casa di preghiera per tutti i popoli» (Is 56,7) perché il luogo della presenza di Dio nel mondo non sarà più identificato con un edificio costruito da mani d’uomo, ma con il corpo ferito di una persona: il Figlio di Dio crocifisso. E nelle sue piaghe potranno finalmente abitare tutti i crocifissi della storia.

Chiediamoci: cosa significa per me e per noi essere chiesa?

vitaTrentina

Got Something To Say?

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


Il periodo di verifica reCAPTCHA è scaduto. Ricaricare la pagina.

vitaTrentina