16 novembre: Domenica XXXIII – Tempo Ordinario C
Letture: Mal 3,19-20a; Sal 97; 2Ts 3,7-12; Lc 21,5-19.
«Avrete allora occasione di dare testimonianza» (Lc 21,13)
La liturgia sembra focalizzare il nostro sguardo sulla fine del tempo. In realtà, quando la Parola contempla la fine lo fa per spingerci a vivere l’oggi ed assumere in prima persona la responsabilità della nostra storia.
La prima lettura proclama, infatti, l’avvento del “giorno del Signore” un giorno segnato dalla presenza di Dio, capace di purificare il popolo per renderlo inequivocabilmente “suo”. La seconda lettura educa a vivere l’attesa come operosità responsabile, perché soltanto qui-adesso è possibile incontrare il Signore. Il vangelo, infine, concentra la nostra attenzione sul tempo dell’attesa, il nostro tempo. La comunità del Risorto è chiamata a preparare l’avvento del Regno, attraverso una testimonianza libera e coraggiosa.
Il vangelo inizia con l’ammirazione del tempio da parte di anonimi interlocutori. Quando Gesù ne prospetta la distruzione, i discepoli chiedono tempi e segni. La risposta del Maestro è un invito a correggere la domanda: non si tratta di conoscere i tempi ma di dare testimonianza (21,13), di perseverare (21,19), di tenersi pronti (21,34-36). Si tratta di assumere la mentalità del Figlio, il suo abbandono fiducioso al Padre (21,18) capace di trasformare persino la persecuzione ed il martirio nel “tempo opportuno” per l’annuncio.
Penso che il discorso escatologico parli del nostro tempo, dove tante certezze sembrano sgretolarsi e dove tutto ciò che per molto tempo ha sostenuto la fede – tradizione, consenso, rilevanza sociale – sembra in via di esaurimento. Tutto parla di fine, decadenza, fallimento e morte. Ebbene, Gesù ripete che proprio questo nostro tempo è il kairos, il tempo opportuno della testimonianza. La richiesta di un segno incontra una risposta inaspettata: come la croce è il segno che annuncia l’alba della Risurrezione, così la piccolezza, l’indifferenza e la persecuzione sono i segni che confermano il discepolo nella sequela quotidiana del Crocifisso-Risorto.
Come continuare a seguire, dunque, nel tempo dell’attesa? Gesù invita i suoi a camminare lungo il sentiero tracciato dalla Parola (vv. 14-15). Il discepolo non deve preoccupatevi di cosa dire, ma deve fare spazio alla Parola lasciandosi trasformare in un prolungamento della Parola fatta carne. Questa focalizzazione sull’essenziale offrirà lo strumento efficace per trasmettere il messaggio del vangelo in situazioni sempre diverse. L’invito è, dunque, a fidarsi ed affidarsi al Signore al quale crediamo. In Lui anche il buio si trasformerà in luce e il rifiuto in nuova possibilità. Luca invita, dunque, la sua comunità a discernere e custodire ciò che appartiene all’essenziale perché da questo “centro incandescente” scaturiranno le parole, le azioni e gli strumenti adatti per l’efficacia del servizio apostolico.
Credo che questa parola di Luca imponga una lettura critica del nostro servizio pastorale. Forse dobbiamo smettere di lamentarci delle difficoltà del presente e dell’aridità del nostro servizio per vivere tutto questo come il kairos di Dio. Forse è giunto il momento di ridimensionare noi stessi ritrovando il nostro posto nell’umile servizio della Parola, senza soffocarla con le nostre parole. Possiamo, infatti, utilizzare strumenti sempre più raffinati e tecnologici; possiamo raggiungere i confini del mondo; ma se il nostro cuore non è “bruciato dalla Parola” siamo soltanto «un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna» (1Cor 13,1).
Chiediamoci: al termine di questo anno liturgico come è cambiato il mio rapporto con la Parola?