Luciana Milani: “Ricordo Valeria per farla conoscere a chi non l’ha incontrata”

Aveva un legame speciale con il Trentino Valeria Solesin, l’unica vittima italiana dell’attentato al Bataclan del 13 novembre 2015. Nata e cresciuta a Venezia, Solesin aveva iniziato gli studi universitari nel capoluogo trentino, dove aveva conseguito la laurea triennale in Sociologia. Aveva 28 anni quando perse la vita. All’epoca abitava a Parigi, dove stava per terminare il dottorato all’Università Paris 1 Panthéon-Sorbonne sui comportamenti riproduttivi in Francia e in Italia. Quello del comportamento riproduttivo delle donne, insieme al loro ingresso e alla loro permanenza nel mondo del lavoro, era uno dei temi che più l’appassionavano.

A dieci anni di distanza dalla strage del Bataclan, Valeria Solesin sarà ricordata mercoledì 5 novembre alle 18, presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale, in occasione del Festival Mortali. A parlare delle passioni di Valeria sarà la mamma, Luciana Milani. “Ho trovato ispirazione nella sua vita e nei suoi studi per continuare ad essere quella di prima – ci provo – e coltivare una visione del mondo basata sulla razionalità e anche sulla speranza”, ha scritto Milani nella scheda di presentazione dell’evento. “Con le mie parole vorrei trasmettere il senso delle cose che le stavano a cuore come ricercatrice, ma anche quello che voleva portare avanti nella vita. La sua visione è sempre stata basata sulla centralità del lavoro e caratterizzata da un grande senso di responsabilità sociale. Ricordare il suo pensiero è un modo per darle voce e farla vivere e conoscere a tutti voi, specialmente a coloro che non l’hanno incontrata. Coltivare la memoria è importante per i vivi e per i morti, che in noi continuano a esistere”.

Milani, chi era Valeria e chi sarebbe oggi?

Valeria stava finendo un dottorato e già lavorava alla Sorbona come insegnante. Teneva dei corsi a Demografia. Penso che, una volta conseguito il dottorato, avrebbe cercato di fare dei concorsi per ottenere l’agrégation, che è il primo passo per la carriera universitaria. Non escludeva anche altre possibilità. Le interessava anche l’Eurostat, l’Istituto di statistica europeo. Non so se sarebbe rimasta a Parigi. Tutto sarebbe dipeso da quello che avrebbe trovato da fare dopo.

Valeria amava il suo lavoro, ma tra le sue passioni c’era anche il volontariato ad Emergency…

Sì. Si era iscritta ad Emergency che era ancora al liceo, e partecipava alle raccolte fondi e alle iniziative che l’associazione ha sempre fatto e continua a fare a Venezia. Poi, quando è andata a studiare a Trento, ha subito contattato il gruppo di Emergency di Trento, che l’ha aiutata ad inserirsi in città, perché quando è arrivata in Trentino non conosceva nessuno.

Come famiglia avete mantenuto il legame con Trento e con Parigi?

Abbiamo mantenuto i rapporti con i suoi amici e con le persone che frequentava. Alcuni di loro sono ancora a Parigi.

Cosa ha significato per lei, in questi dieci anni, aver dovuto ripercorrere più volte la storia e la morte di sua figlia? L’ha più ostacolata o aiutata nella rielaborazione del dolore?

Io parlo sempre molto volentieri. Mi fa piacere poterla ricordare. Per me è un aspetto positivo. Non mi è mai pesato.

Molto spesso si ricorda più la storia degli assassini di quella delle vittime, come è accaduto negli anni di piombo. Mentre quella del Bataclan è stata una storia in cui le parti civili nel processo hanno avuto tanto spazio…

Nel processo volutamente si è dato moltissimo spazio alle testimonianze delle persone coinvolte. Non solo testimonianze di quello che è successo, con la fattualità degli accadimenti. È stata raccontata anche la vita di quelle persone, e come è cambiata dopo la strage del Bataclan. le persone sono state molto libere di dire veramente quello che pensavano, e non hanno avuto neanche un tempo limitato. Le testimonianze potevano durare quanto la persona lo riteneva opportuno. E a volte si sono anche dilungate eccessivamente. Ma questo è un altro paio di maniche (ride, ndr).

A dieci anni che cosa insegna la tragedia del Bataclan? E che cosa rimane?

Per noi rimane tutto quanto. Ci sono sempre avvenimenti che quando accadono sono storici, e che poi, a distanza di anni, inevitabilmente vengono un po’ relegati nello sfondo. Non può che essere così. Anche perché le tragedie non mancano in questi giorni.

Che cosa si sentirebbe di dire a chi convive con il dolore per la perdita di un figlio?

Penso che i dolori siano molto personali. Il mio ha avuto un grande rilievo perché si è trovato all’interno di un avvenimento assolutamente straordinario. Non ricordo avvenimenti così sanguinosi dovuti al terrorismo in Europa. Ce ne sono stati, come quello di Atocha, in Spagna, ma questo è stato terribile per tutta una serie di cause. Per esempio per il fatto che è avvenuto nel centro di Parigi. Ma penso che se uno perde un figlio in un incidente stradale non è che le cose cambino poi molto, dal punto di vista personale. Il fatto che sia un fatto storico accresce l’interesse, ma per le persone colpite non penso che faccia nessuna differenza.

Cosa ne pensa del Festival Mortali, e dell’idea di mettere il tema della morte al centro del dibattito pubblico per alcuni giorni?

Trovo che gli organizzatori abbiano avuto un’idea molto importante. La morte è sempre relegata in un cantone. Se ne parla poco, anche se è un fatto che riguarda tutti. Penso che sia importante accendere i riflettori su questo tema. Ho visto la locandina con tanti interventi, e mi sembra una cosa che avrà un suo peso. Spero che abbia una certa eco.

vitaTrentina

Got Something To Say?

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


Il periodo di verifica reCAPTCHA è scaduto. Ricaricare la pagina.

vitaTrentina