«Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno»

23 novembre: Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo – C

Letture: 2 Sam 5,1-3; Sal 121; Col 1,12-20; Lc 23,35-43.

«Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc 23,42)

Confesso che comprendo meglio questa solennità da quando vivo in Ghana, dove re e regine sono parte del tessuto sociale. Forse per questa vicinanza culturale, le nostre comunità celebrano con particolare intensità questa festa. Come un re tradizionale accompagnato dal ritmo dei tamburi, dalle danze e dai canti, Gesù-Eucaristia esce dalle nostre chiese per visitare il suo popolo. È bello pensare che il re dell’universo viene ad incontraci dove siamo: lungo le strade, nelle baraccopoli, nelle isole abitate dai pescatori o sulle colline dove i contadini con fatica e orgoglio coltivano i loro campi. In tutto questo Lui c’è perché Gesù è un tipo diverso di re. È un re che ha fatto dell’amore lo strumento del suo potere; della condivisione il suo manifesto politico e della verità il suo stile di vita.

Credo sia questa la “bella notizia” con cui la liturgia di oggi chiude l’anno liturgico chiedendoci di seguire il nostro re sul Calvario. Luca si allontana notevolmente dagli altri evangelisti nel descrivere le ultime ore di Gesù sulla croce (Mc 15,29-41; Mt 27,39-56). Pone sulle sue labbra due invocazioni rivolte al Padre (vv. 34. 46) ed una promessa di salvezza offerta ad un “malfattore” (vv. 39-43).

La richiesta al Padre di perdonare i propri persecutori offre l’esempio supremo di ciò che ha insegnato (6,28), un esempio che i suoi discepoli dovranno imitare (cf. At 7,60). Proprio questo perdono “folle” lo rivela per ciò che è: «il Figlio dell’Altissimo» (6,35).

La preghiera di Gesù conferma poi l’immagine misericordiosa del Padre, ripetutamente tratteggiata durante il suo ministero pubblico (cf. 6,36; 15,11-32). Il permanere nell’amore del Padre trasforma la croce, uno strumento di tortura e morte, in un luogo di incontro, perdono e salvezza.

Alla preghiera di Gesù, segue la reazione umana: mentre la folla osserva, i capi scherniscono. In un contesto in cui indifferenza, passività e scherni sembrano proclamare la vittoria delle tenebre sull’amore, Luca inserisce un dialogo che rivela il significato della croce. Se le parole del primo malfattore ribadiscono gli scherni dei capi, il vangelo della croce è proclamato dal secondo. Egli riconosce la propria colpa e accetta la propria sorte. Non si dispera ma si affida a colui che condivide il suo stesso dolore: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (v. 42).

La risposta di Gesù inizia con oggi (cf. 2,11; 4,21): «Oggi con me sarai nel paradiso». La salvezza non è collocata in un futuro incerto ma accade nel momento dell’incontro. Il peccatore pentito accetta Gesù come salvatore e non si lascia scandalizzato dall’impotenza della croce (cf. 9,26); chiede e la sua richiesta è esaudita; cerca e trova la salvezza (cf. 11,9-10). La croce è, dunque, per l’uomo pentito il kairos della salvezza, la breccia per penetrare nel cuore stesso di Dio. Come nell’episodio del rinnegamento di Pietro, Luca evidenzia che non esiste situazione umana che non possa essere raggiunta dalla misericordia del Padre.

Per l’evangelista questo episodio chiude l’arco narrativo del ministero di Gesù: colui che nella sinagoga di Nazareth aveva proclamato di essere venuto a portare la «libertà ai prigionieri» (4,18), muore garantendo libertà ad un malfattore appeso alla croce. Non scende dalla croce, come preteso da capi e soldati, ma sceglie la via dell’incarnazione totale rispondendo alla violenza distruttrice un nuovo inizio segnato dall’amore e dal perdono.

Chiediamoci: a quale “re” stiamo affidando la vita?

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