Lo spunto
Dopo 3 ore e mezzo di arduo cammino abbiamo raggiunto alle 10.45 il punto più alto del ghiacciaio, la fessura del passo del Vernel (…). La parete più bassa che iniziava dalla fine del ghiacciaio era una sfida e non c’erano appoggi fin dove le mani potevano arrivare. Allora Bernard (la guida di Campitello che ci accompagnava) è salito sulle mie spalle e così ha potuto raggiungere un punto dove si è tirato su ed ha aiutato anche me. Presto però la roccia s’è dimostrata così fragile come non l’avevo mai vista, ovunque la toccassi si sbriciolava e macigni e macerie cadevano sotto i nostri piedi, schiantandosi e rimbombando. I “mostros” e i “maledettos” di Bernard, le sue imprecazioni, non finivano mai e arrampicarsi su questa roccia era decisamente inquietante; i ghiaioni che giacevano in varchi e canaloni si mettevano in moto sotto ogni nostro passo.
Gottfried Merzbacher da “Prima salita del Vernel”, 8 luglio 1879 luglio 1879.
Lo spunto ripreso dall’alpinista tedesco Gottfried Merzbacher non descrive solo la prima avventurosa salita al Gran Vernel, la montagna che domina la Val di Fassa, ma rappresenta piuttosto un invito a ritornare sulle montagne più conosciute con gli occhi e le sensazioni di chi le affrontava per la prima volta. È il messaggio che trasmettono due recenti libri di “Nuovi Sentieri”, la casa editrice del bravissimo Bepi Pellegrinon, alpinista e scrittore di Falcade.
Il primo riguarda il gruppo della Marmolada e riporta le relazioni dei pionieri come Merzbacher che, alla fine dell’Ottocento, l’esplorarono e l’affrontarono. Lo firmano Riccardo Doria, Laura Gulì e la guida alpina Berto Lagunaz. Il secondo libro “La strana coppia” (a cura di Paolo Francesco Zatta), ripercorre la vita e le ascensioni di due personaggi che hanno fatto la storia dell’alpinismo europeo: il tedesco (militare, salito fino al grado di generale prussiano) Theodor von Wundt e la moglie Constance Maud Walters, di antica famiglia inglese, rappresentanti tipici dei rispettivi ambienti nazionali, rigore e disciplina prussiani per Theodor, apertura curiosa e audacemente “sportista”, come i contemporanei la definivano, per Maud, quasi una femminista ante litteram, orgogliosa di testimoniare che le donne non erano certo inferiori, per capacità, ardimento e resistenza, agli uomini. Anzi, nei passaggi più difficili sapevano muoversi con più agilità, armonia e determinazione.
Wundt è noto soprattutto per aver fatto conoscere il Cimon della Pala, ma è stato anche un pioniere delle salite invernali e un grande fotografo di montagna. Per la sua stazza veniva chiamato “l’orso prussiano”, mentre Maud era esile e snella, pur uguagliandolo in altezza, ammirata e stimata anche da scrittori come Edmondo De Amicis non solo per la sua passione per il Cervino (aveva impiegato il viaggio di nozze con Wundt scalandolo, di qui anche il comune fascino che su di loro esercitava il Cimone, il “Cervino delle Dolomiti”), ma per gli articoli sulle riviste inglesi che dedicò alle donne alpiniste del suo tempo.
Leggere questi due libri non è solo approfondire la propria cultura storica nella conferma di come la Grande Guerra di pochi anni dopo fosse proprio il “suicidio” di quell’Europa, ma non significa neppure nostalgia per i “vecchi tempi”. Ci fa ritornare alla visione fresca e vitale che quegli uomini e quelle donne avevano della montagna, delle motivazioni che li spingevano a percorrerle e a salirle, che non si esaurivano certo nell’esibizionismo dei “selfie” e nell’accodarsi ai “promoter” che oggi segnano così pesantemente le banalità dell’”overtourism”. Possiamo riscoprire come le continue mutazioni che la montagna subisce e presenta non siano inciampi o minacce, ma parte del suo essere elemento vivo della natura; si tratta di vedere, anche nelle sue spesso imprevedibili sorprese, i temporali, le rocce friabili, i crepacci… non dei fastidiosi contrattempi, ma degli “incontri” con aspetti del vivere che la quotidianità della “routine” urbana non offre.
Perché la montagna non è immutabile. Basta una nevicata per cambiarle volto e rinnovarla, basta un pezzo di ghiaione che si smuove per un passo malaccorto per segnalare una realtà nascosta, ancora inespressa nella natura. Per questo i sentieri della montagna conducono a luoghi della natura e dell’anima inesplorati, non a mete fisse ripetibili. Sono un filo d’Arianna nei labirinti dell’incertezza, della violenza, del conformismo, non binari predeterminati e obbligati. In questo senso c’è ancora da imparare seguendo Merzbacher sul Vernel, come legandosi in cordata con Wundt e Maud sui tanti “Cervini” della loro vita.
Merzbacher e la sua guida Bernard di Campitello ci ricordano che la montagna, anche quando muta è una cosa viva. Quando Bernard sentendo il cupo rimbombo che sale dai crepacci e li accompagna per tutta la salita parla di “mostros” non si rifà ad antiche superstizioni, ma rammenta a se stesso nelle sue imprecazioni (e ricorda a noi) che la montagna presenta aspetti vivi con cui fare i conti, e ciò vale anche oggi che i ghiacciai, come la stessa Marmolada, appaiono estinguersi. Ma non per questo i gruppi che li ospitano perdono di interesse. I ghiacciai non sono macchine da sci, sono ben altro. Cresceranno morene e fiori e si formeranno convalli e forre dov’erano i ghiacci, ma continueranno a parlare, dal profondo, a chi sa ascoltarli, i “mostros” continueranno a inquietare (e forse ispirare) chi sale, perché anche i gruppi più conosciuti e frequentati hanno sempre qualcosa da offrire se chi li percorre li guarda con gli occhi freschi dei primi salitori.
La “strana coppia” di Theodor e Maud ci insegna inoltre come la pienezza di gioia che la montagna può trasmettere consista nella condivisione di vita ed emozioni che comunica: “insieme”, con un affetto, un amore, un’amicizia, una compagnia. Insieme, con tempi lenti che consentano di “entrare” nell’esperienza, di avvicinarla da lontano. I due salitori del Vernel partirono alle 3 e mezzo per raggiungere la cima alle 13: una lunga camminata, non un “mordi e fuggi”; per mettere a fuoco tutto il percorso, come uno zoom fotografico, non come un flash, che poi torna subito il buio. Merita allora seguire le tracce dei pionieri: consentono di riscoprire una montagna antica e nuova.