I santi, tra lapidi e fiori

Il cimitero di Trento. Foto © Gianni Zotta

Molti anni fa, in un freddo pomeriggio di novembre, sentii il sacerdote che celebrava sul cimitero redarguire i tanti presenti con parole di fuoco. Non serviva – a parer suo – che venissero sulle tombe adorne di fiori il giorno dei Santi quando per il resto dell’anno, non mettevano più piede in chiesa. Provai sentimenti contrastanti e lasciai la celebrazione avvolto, oltre che dal vento gelido, anche da un forte senso di smarrimento.

La festività di Tutti i Santi e la Commemorazione dei fedeli defunti è un appuntamento che ha toccato molto in profondità la vita della nostra società. Questo lo si coglie nei giorni precedenti all’evento religioso: è un continuo viavai lungo i viottoli dei cimiteri. Persone che portano fiori, altri armati di scope e palette per la pulizia e il riordino di tombe e lapidi. Spesso si creano dei campanelli di conoscenti che scambiano un saluto, condividono un ricordo, curiosano intorno.

Capita di incontrare persone che vivono fuori dai confini del paese, della valle o della città in cui sono nati.

È un tempo prezioso in cui si riallacciano storie fatte di presente e passato. È l’unico appuntamento di valenza civile di massa che riannoda i fili nascosti di chi c’è con coloro che ci sono stati. Alla Messa in cimitero non passa inosservata l’assenza di qualche parente che presenzi sulla tomba dei propri cari. Nascono subito domande che indagano, soprattutto dopo gli ultimi anni segnati da una pandemia che ci ha lasciati orfani di volti conosciuti a cui eravamo affezionati.

Forse è l’ultimo appuntamento cristiano rimasto che ancora incrocia una così forte presenza sociale.

Molte persone non si riconoscono più nella chiesa del paese o del quartiere, ma questi giorni hanno il sapore di qualcosa d’altro, il quale tocca punti molto profondi dell’anima delle persone.

Santità e morte si mescolano sulla soglia del mistero della vita: quella del prima con quella del dopo morte.

In una società confusa e confusionaria la comunità cristiana, per quanto povera e sgangherata possa essere, porta sempre in sé qualcosa che tocca l’uomo. Una tomba non è solo un pezzo di marmo freddo, ma rimanda ad una vita che è passata su questo mondo ed è protesa verso il mistero di Dio. Chi si ferma per un saluto, chi per un’orazione, o chi per un semplice sguardo ad una fotografia sbiadita diventa, suo malgrado, testimone di un’esistenza umana passata, mantenendo acceso il lumino della speranza di un dopo che dia un senso al prima.

Mi hanno sempre colpito i luoghi di sepoltura dell’antichità sul punto critico della storia in cui il mondo pagano ha incontrato la fede cristiana.

Che cosa avranno pensato quelli che durante il culto dei loro morti vedevano queste famiglie, le quali tra di loro si chiamavano “i santi”, porsi sulle tombe dei loro cari, intonando melodie ed inni inneggianti a Cristo risorto; elevando preghiere e suppliche, affinché tutti fossero accolti nella vita eterna? E se fosse stata anche quella un’opportunità di evangelizzazione?

 

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