Fatima, un messaggio per l’oggi

“Le visioni pertanto non sono mai semplici «fotografie» dell'aldilà, ma portano in sé anche le possibilità ed i limiti del soggetto che percepisce”

“Fatima è senza dubbio la più profetica delle apparizioni moderne”, ebbe a dire il card. Joseph Ratzinger. Alla vigilia della visita del Papa, affrontiamo con don Rattin, delegato vescovile per i pellegrinaggi, il “fenomeno Fatima” in una prospettiva aggiornata.

Don Piero, cent'anni dopo certe immagini di Fatima suonano in parte anacronistiche…

In verità, il messaggio che intendono trasmettere è ben lungi dall’essere superato. Linguaggio e immagini sono legate alla cultura religiosa dell’epoca, mentre oggi la teologia, la predicazione e la catechesi, sperimentano modalità espressive diverse; affermare tuttavia che esse sono perciò stesso più adeguate a comunicare è quantomeno prematuro e azzardato. Nel valutare le forme espressive tipiche della sensibilità religiosa del passato è saggio evitare giudizi frettolosi e negativi. Per non peccare di presunzione e non correre il rischio “gettare, oltre l’acqua sporca, anche il bambino che c’è dentro”.

Perché a Fatima, come già in altri luoghi, i destinatari delle apparizioni sono semplici bambini, poveri e analfabeti?

Nella Chiesa, l’autenticità delle apparizioni, e dei relativi messaggi che esse intendono comunicare, si valuta con il criterio della sintonia con il Vangelo. Ora è proprio il vangelo a presentare “i piccoli e i semplici” come i destinatari più adatti ad accogliere ciò che di più prezioso Dio ha da dire agli uomini (cfr. Mt 11,25). I “sapienti e i dotti” non sono mediatori adeguati. Non si dimentichi che il fenomeno “Fatima” si colloca all’inizio di quel 20° secolo che ha visto il trionfo di ideologie presuntuose e disastrose nei loro effetti.

È ricorrente l’invito ai tre piccoli pastori ad offrire a Dio preghiere e sacrifici. Perché mai?

A Lucia, la veggente bambina che chiedeva cosa volesse dire “offrire sacrifici” fu risposto: “Fate di tutto un sacrificio e offritelo al Signore…”. “ Tutto” significa: la vita d’ogni giorno, con le sue cose piacevoli o spiacevoli che siano. È troppo poco viverle, sperimentarle… e basta. Perché non impreziosire il “tutto” offrendolo a Dio? E’ la spiritualità cristiana di sempre a raccomandarlo: “Vi esorto, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi (cioè, voi stessi) come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo…” (Rom 12, 1-2). Il Concilio Vaticano II l’ha ribadito: “Uniti a Cristo, i battezzati sono abilitati a offrire, mediante le loro attività, spirituali sacrifici….”(Lumen Gentium 10).

Si parla spesso nelle apparizioni di Fatima della necessità di offrire tali sacrifici a Dio in riparazione delle offese arrecategli. Che senso ha? Forse che Dio è adirato e dev’essere placato con sacrifici?

Un dato della fede cristiana che non è stato ancora compreso a sufficienza nella sua portata è quello della sofferenza di Dio provocata dalle scelte sbagliate degli uomini. Qual è il padre, la madre, che non soffre e prova amarezza allorchè un figlio imbocca una strada che lo porta alla rovina? E cosa possono fare gli altri figli se non stare loro accanto e cercare di alleggerire, consolare quell’amarezza con il loro affetto solidale? Se la fede è un rapporto di amorosa familiarità con Dio, la riparazione che egli si attende è anzitutto questo: alleviare, da figli, la sofferenza di Dio. Ma l’invito rivolto a Fatima abbina sempre a questa anche un’altra motivazione: “… e per la conversione dei peccatori”.

Appunto, e si apre un'altra perplessità. Preghiere e sacrifici da parte di cristiani, o addirittura di bambini inermi, hanno lo strano potere di convertire gli indifferenti o quanti guazzano abitualmente nel male?

La cultura del nostro tempo, esasperata dalle ideologie massificanti del passato, assapora finalmente una libertà  precedentemente sconosciuta. Una conquista reale, peraltro, un diritto sacrosanto. Ma come accade spesso nella esperienze umane, prima di trovare il giusto equilibrio, si sconfina all’estremo opposto. Oggi l’estremo opposto è l’individualismo in tutti campi, anche in ambito religioso. Nell’individualismo si pensa solo a se stessi; gli altri, se sbagliano, li si compatisce, ma li si lascia perdere. L’individualismo soffoca la solidarietà, anche quella della Fede che pure condivide da sempre la convinzione che “siamo tutti un solo corpo e membra gli uni degli altri… Quindi  se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui” (cfr. 1Cor 12, 12-27). In quest’ottica – che sul piano della Fede prende il nome di “comunione” – la “conversione dei peccatori” è cosa che dipende da loro stessi, certamente, ma coinvolge non di meno Dio (che vuole il loro bene) e con lui, per sua stessa volontà, tutti i suoi figli per i quali ogni uomo – specie se perduto – è fratello e va ricuperato alla dignità di figlio.

Che pensare delle spaventose visioni cui avrebbero assistito i tre veggenti, come quella dei peccatori che precipitano tra le fiamme dell’inferno, accolti da demoni mostruosi e terrificanti?

Come ebbe a dire il Card. Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la Fede, “ogni veggente vede con le sue possibilità concrete, con le modalità a lui accessibili di rappresentazione e di conoscenza. Tali visioni pertanto non sono mai semplici «fotografie» dell'aldilà, ma portano in sé anche le possibilità ed i limiti del soggetto che percepisce”. In altre parole, ciò che i bambini di Fatima percepirono, passava per i canali della loro sensibilità, formata secondo la cultura religiosa di quel tempo (non era questo il modo di rappresentare l’inferno anche sulle pareti delle nostre chiese?). “I bambini – continua il Card. Ratzinger – hanno sperimentato per la durata di un terribile attimo una visione dell'inferno. Hanno veduto la caduta delle «anime dei poveri peccatori». E fu loro detto il motivo per cui erano stati esposti a quella visione: per « salvarle » — per mostrare una via di salvezza. Viene in mente la frase della prima lettera di Pietro: «meta della vostra fede è la salvezza delle anime» (1,9). Chi interpreta una tale visione come un rèportage sull’aldilà è fuori strada. Essa ha piuttosto il senso di una messa in guardia da un pericolo estremamente serio: quello di rovinare irrimediabilmente se stessi. E Dio, nel suo amore smisurato… le inventa tutte, per indurre i suoi figli ad evitarlo. Lo precisò bene suor Lucia in un suo scritto: “Non diciamo che è Dio che così ci castiga; al contrario sono gli uomini che da se stessi si preparano il castigo. Dio premurosamente ci avverte e chiama al buon cammino, rispettando la libertà che ci ha dato; perciò gli uomini sono responsabili” .

Al fenomeno “Fatima” era connesso un segreto la cui misteriosità ha fatto sempre scalpore. Perché quel segreto? Perché c’è voluto così tanto tempo prima che fosse svelato?

Come ebbe a precisare suor Lucia, a loro ne era stata offerta la visione, ma darne l’interpretazione, il significato, spettava alla Chiesa. La prima e la seconda parte del segreto sono note già da decenni. La terza, che descrive simbolicamente la via della Chiesa del 20° secolo come una Via Crucis, un cammino in un tempo di violenza, di distruzioni e di persecuzioni, fu svelata per decisione di Papa Giovanni Paolo II dopo il famoso attentato di cui fu vittima in Piazza san Pietro. La ragione di tale ritardo nello svelarlo era dovuta alla mancanza di criteri d’interpretazione che solo alla fine del secolo appena passato si mostrarono con evidenza. In ogni caso, l’obiettivo di quel segreto nella sua completezza non era quello di diffondere il panico, ma di dare eco e risonanza a una Parola di Cristo conosciuta da sempre: «Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo» (Gv 16, 33).

Perché Fatima si distingue dagli altri grandi santuari?

Perché è meta dei “piccoli, dei poveri, dei semplici”, che non hanno alcuna familiarità con i ragionamenti dei dotti (tradizionalisti o progressisti che siano), ma vivono una Fede essenziale, capace di coniugarsi con il sentimento più spontaneo. E’ commovente vederli procedere inginocchiati attraverso il grande piazzale o sventolare i fazzoletti bianchi in segno di saluto al passaggio dell’immagine della Madonna. La Chiesa ha molto da apprendere da queste espressioni di “pietà popolare”. C’è da scommettere che Papa Francesco ci si troverà bene, come a casa sua.

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