Una Chiesa sulla strada?

Il tema del Convegno ecclesiale di Firenze, “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, si costruisce intorno a 5 verbi tematici, 5 vie verso l'umanità nuova.

Il documento preparatorio, proponendo la riflessione sulla prima via, “uscire”, ci mette davanti in modo diretto una domanda: “Come mai, nonostante un’insistenza così prolungata sulla missione, le nostre comunità faticano a uscire da loro stesse e ad aprirsi?”.

È necessario e urgente “liberare le nostre strutture dal peso di un futuro che abbiamo già scritto, per aprirle all’ascolto delle parole dei contemporanei, che risuonano anche nei nostri cuori: questo è l’esercizio che vorremmo compiere al Convegno di Firenze. Ascoltare lo smarrimento della gente, di fronte alle scelte drastiche che la crisi globale sembra imporre; raccogliere, curare con tenerezza e dare luce aitanti gesti di buona umanità che pure in contesti così difficili sono presenti, disseminati nelle pieghe del quotidiano. Offrire strumenti che diano lucidità ma soprattutto serenità di lettura,convinti che, anche oggi, i sentieri che Dio apre per noi sono visibili e praticati”.

Cecilia Niccolini e Flavio Berloffa

Verso quali periferie esistenziali siamo chiamati? Come sappiamo incontrare coloro che non fanno parte della comunità ecclesiale? Le risposte di Angelo Poletti, operatore della cooperativa sociale “Punto d’Incontro” di Trento, che prova a riflettere sulla Chiesa “in uscita” incoraggiata da Papa Francesco… partendo da via Travai.

Le periferie sono molte, quella delle persone sulla strada è una delle più vistose e simboliche; ben vengano le varie iniziative avviate su interessamento di Papa Francesco all'interno della Città del Vaticano. Mi sembra che le singole azioni attuate oltre al valore concreto di aiuto e sostegno, abbiano anche un fortissimo significato di attenzione a chi vive ai margini della nostra società (c'era un libro di una quindicina di anni fa che se non sbaglio si intitolava “Quando l'escluso diventa l'eletto”, mi sembra una frase che può riassumere questa attenzione verso chi vive ai margini di Roma).

In generale nel campo delle persone senza dimora, una percentuale altissima delle iniziative solidali (credo maggiore degli altri campi dei servizi sociali) nasce da una ispirazione ecclesiale e così è anche per noi a Trento: Don Dante Clauser, padre Fabrizio Forti, don Valerio Piffer sono le persone che esemplificano questa attenzione. Mi sembra però che dobbiamo lavorare affinché l'azione diventi più strutturale nella comunità cristiana e “annuncio” di una vicinanza totale all'Uomo. Mi sembra che spesso le azioni non diventano una testimonianza che riesce a smuovere le coscienze sia dei cristiani sia di chi ormai non si riconosce nella Chiesa. Nella comunità cristiana percepisco un atteggiamento di attenzione verso gli altri, che però trova difficoltà a tramutarsi in azione quotidiana che coinvolga tutti. Mi sembra come una sorta di schizofrenia fra le iniziative di solidarietà e il vivere ogni giorno questa solidarietà. È più semplice dare un offerta, che offrire una possibilità; è più semplice dare una coperta, che offrire la possibilità di entrare nelle nostre case.

Don Dante un giorno dopo aver ricevuto un’offerta da un imprenditore di Trento, confidenzialmente era uscito con noi con una frase che più o meno suonava così: “L’offerta è ben una bella cosa, ma se assumeva uno dei nostri sarebbe stato meglio” (e detta in dialetto suonava anche meglio!)

È sicuramente un problema vasto, che vivo anch'io quotidianamente nella mia azione (il rischio di vivere il proprio lavoro solo come un'occupazione e non anche come un'attenzione), ma uscire non vuol dire anche permettere agli altri di entrare nelle nostre comunità ed offrire non solo servizi, ma anche possibilità di inclusione?

Parallelamente con quanto detto, mi sembra che le iniziative ecclesiali di solidarietà siano viste come un “atto dovuto”, che non interrogano le coscienze dei singoli, che non si riconoscono nell'ambito ecclesiale. Tutti si aspettano che Gesù lavi i piedi ai discepoli, ma difficilmente si interrogano sul senso e sul perché di quel gesto. Si ammira Madre Teresa per quanto aveva fatto al servizio degli ultimi, ma non ci si interroga su quanto diceva e sulla spiritualità che la sosteneva. La Chiesa è giustamente chiamata ad essere attenta agli altri, ma siamo in difficoltà nel trasformare questa attenzione in annuncio di un “Padre Misericordioso” che ci accoglie e ci invita a fare altrettanto reciprocamente. Le incoerenze e i mezzi economici che spesso contraddistinguono alcuni settori della Chiesa sono sicuramente una “ferita” che non permette una visione migliore della comunità ecclesiale, più coerenza probabilmente interrogherebbe di più le coscienze dei singoli.

E poi ci sono tutte le persone di altre religioni che vivono nelle nostre comunità: mi sembra che siamo in profonda difficoltà nell'accogliere e nel fare spazio nelle comunità ecclesiali. Mi sembra che anche con loro ci troviamo in difficoltà nel trasformare l'annuncio verbale in azione. Confrontarsi, dialogare, comprendersi, accogliersi reciprocamente dovrebbero essere atteggiamenti quotidiani, ma siamo in difficoltà nel trasformarli in atti concreti.

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