L’arte dimenticata di Stefano Zuech

Dopo decenni di silenzio, una mostra monografica dedicata all’artista noneso. Fu l’autore dei bassorilievi della Campana dei caduti

Fu tra i migliori interpreti dell’arte trentina della prima metà del Novecento, lasciando diverse opere. Successivamente è finito nell’oblio, oggi ricordato soprattutto per i bassorilievi della Campana dei Caduti di Rovereto. A Stefano Zuech viene ora dedicata la prima mostra monografica dopo decenni di silenzio. “Stefano Zuech 1877-1968. Il volto, il mito, il sacro”, allestita a palazzo Alberti-Poja, accanto alla struttura del Mart, in corso Bettini a Rovereto, offre 71 opere, di cui 56 dell’artista originario di Arsio di Brez in gesso, bronzo, marmo, legno e ceramica, oltre ad alcune grafiche.

L’idea dell’esposizione è della storica dell’arte Chiara Moser che ne è la curatrice assieme ai colleghi Elvio Mich e Roberto Pancheri. Chiara Moser l’ha sottoposta alla ditta Wasabi, la quale a sua volta l’ha rilanciata alla Fondazione Campana dei Caduti in occasione dei novant’anni dal primo suono di “Maria Dolens”. Successivamente si sono aggiunti altri due organizzatori, la Fondazione Museo civico di Rovereto e la Biblioteca civica “G. Tartarotti”.

Stefano Zuech si formò a Trento, in Alto Adige, a Vienna e Roma. A Vienna, dopo un’esperienza di nove anni presso lo studio dello scultore meranese Emanuel Pendl, nel 1908 venne ammesso alla Scuola superiore di scultura dell’Accademia di Arti figurative. Nel 1924 realizzò lo stupendo corteo – con i simboli della guerra, del lutto e della distruzione, con i soldati in partenza, feriti e uccisi, e con la marcia della vittoria – che orna la Campana dei Caduti. Nel 1939, fu chiamato ad ampliare e in parte modificare i bassorilievi in seguito alla seconda fusione della campana. Nella terza, fusa nel 1964, non intervenne perché di fatto si utilizzarono i precedenti bassorilievi.

Dodici sono le opere inedite di Zuech esposte nella mostra a Rovereto, tra cui l’originario modello in marmo de Il Bacio dell’Addolorata, scultura fortunata, replicata in più occasioni dall’artista. I cinque frammenti in gesso dell’opera sono stati donati dal proprietario, un altoatesino, alla Fondazione Museo Civico, che ha provveduto a restaurarli e ricomporli, presso l’OpenLab a palazzo Alberti-Poja. I frammenti assemblati hanno permesso di ricostruire l’opera quasi integralmente: raffigura la Vergine che dà dolcemente l’ultimo bacio al Cristo, reggendone la testa con la destra, prima della sepoltura. Il laboratorio ha anche provveduto ad una ricomposizione virtuale della scultura in 3D. In mostra si possono inoltre ammirare quindici opere di altri artisti, tra cui l’inedita insegna realizzata da Fortunato Depero per l’inaugurazione della Campana dei caduti; il ritratto di Zuech di Oddone Tomasi; e tre pezzi della collezione Orsi di cui il più antico risalente al V secolo a.C.

L’esposizione rimarrà aperta fino al 18 settembre, da martedì a domenica, dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 18.

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