Vino Santo, l’origine del nome

La risposta si trova in un libro di Marco Stenico. Vi sono riportati i risultati di una impegnativa ricerca condotta per incarico della Fondazione Mach

“Magnus cursus sed extra viam” (percorso lungo, ma fuori tema). L’annotazione riportata in calce al tema di italiano significava per lo studente di liceo una insufficienza netta. Nonostante la fatica e l’impegno profusi nella preparazione. La frase si può ripetere, ma all’incontrario, cioè in termini positivi, a fine lettura del libro di Marco Stenico sull’origine della denominazione Vino Santo intitolato “Vinum Sanctum, Vinum De Xanto”.

Il libro è stato presentato al recente Vinitaly di Verona da Michele Pontalti, già direttore del Centro trasferimento tecnologico della Fondazione Mach che dieci anni fa aveva affidato all’autore l’incarico di condurre la ricerca. L’affidamento è frutto di reciproca conoscenza e stima interpersonale. Nel libro “Storia regionale della vite e del vino in Italia:Trentino” (pubblicato nel 2012 all’intenro di una collana promossa dall’Accademia italiana della vite e del vino) a cura di A. Calò, L. Bertoldi Lenoci, M. Pontalti, A. Scienza) si trova un lungo articolo di Marco Stenico e Giovanni Marcadella intitolato “Le fonti archivistiche sulla viticoltura del territorio”. Significativa l’affermazione degli autori riguardante le basi documentali sulle quali è stata condotta la ricerca sulla vitivinicoltura del Trentino: “Si sono privilegiate le fonti di maggiore densità di dati informativi individuando tre categorie: documenti di amministrazione economica di enti e famiglie nobili; documenti di tipo fiscale (estimi e catasti); documenti normativi (statuti cittadini, carte di regola delle Comunità rurali)”.

Anche la ricerca sull’origine della denominazione Vino Santo è stata condotta su fonti documentali d’archivio e fonti letterarie e bibliografiche in ambito Trentino, Sud Tirolese, Veneto, Lombardo e Toscano. L’obbiettivo della ricerca consisteva nel far luce sulla derivazione e motivazione del nome Vino Santo assegnato al prodotto enologico divenuto marchio territoriale della Valle dei Laghi. Smentendo o confermando, su basi documentarie, le varie ipotesi formulate intorno all’origine del nome in questione. Se da un lato oggi è per tutti naturale concludere correttamente che il Vino Santo prodotto nella Valle dei Laghi prende questa denominazione dal fatto che l’annuale spremitura degli acini sovramaturi di Nosiola ha rigorosamente luogo nel corso della Settimana Santa, non vi sono pari certezze per quanto riguarda i secoli precedenti.

Marco Stenico ha rivisitato in chiave enologica e semantica (valore della parola) un periodo storico che va dal XV° al XIX° secolo avendo chiaro in testa l’obiettivo da raggiungere. Il rigore logico seguito nella ricerca traspare dai vari capitoli. La lettura richiede impegno e una buona preparazione culturale di base. Ciò non significa che nel libro manchino spunti e curiosità interessanti anche per i non addetti allo specifico settore.

Dalla vasta documentazione raccolta e analizzata emerge una significativa varietà di accezioni collegate al lemma Vinum Santum/Vin Santo correlata ai differenti contesti storici e culturali locali. Se oggi abbiamo a disposizione l’oggetto ( Vino Santo) che porta quello specifico nome, così non è per il passato. Abbiamo le fonti che attestano la presenza del nome, ma non l’oggetto o gli oggetti così denominati. Il dilemma è contenuto nel titolo stesso del libro (Vinum Sanctum, Vinum De Xanto). Il libro porta a concludere che sono da considerare superate le ipotesi che Xanto derivi dal nome dell’isola omonima o dall’aggettivo Xanto che in greco significa “giallo oro”.

In conclusione: se Xanto è legato alla settimana Santa (Pasqua), non è certo, anzi è probabile che Vini santi o Passiti, cioè ottenuti da uve disidratate e quindi recanti acini con succo fortemente concentrato e dolce, si producessero anche nei secoli precedenti all’800. Il dilemma si dilegua quando il Vino Santo Trentino e il Vin Santo della Toscana escono dalle cantine monastiche e/o nobiliari per assumere un ruolo commerciale importante per l’economia viticolo-enologica della regione o provincia interessata.

Lo stesso discorso vale per i vini Nadalini dei quali si trovano continue citazioni anche nei secoli passati e in tutte le regioni oggetto di ricerca. Essi oggi sono stati sostituiti dai vini dolci da vendemmia tardiva. C’erano anche i vini Pasqualini prodotti da uve più o meno appassite e spremute dopo diversi mesi dalla vendemmia. Da non dimenticare gli Eisweine o vini di ghiaccio dell’Alsazia e dell’Alto Adige fatti con uve asciugate in pianta per opera del freddo e non dell’aria che entra nella vinsantaia.

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