Come era da aspettarsi la morte di papa Francesco ha parzialmente congelato la politica italiana. Lasciamo da parte la corsa generalizzata dei politici ad appropriarsi della eredità culturale di Bergoglio (in qualche caso siamo al limite del ridicolo), un passaggio di repertorio che non manca mai quando ci lascia una personalità di rilievo, tanto più se si tratta di qualcuno che muove particolarmente i sentimenti della gente. Il fatto è che l’evento ha una portata tale da non lasciare spazio al consueto teatrino della politica nostrana.
Per il governo la priorità è gestire una circostanza che è indubbiamente molto impegnativa. Oltre 150 capi di Stato con le rispettive delegazioni e strutture parteciperanno alle esequie solenni, sono attese molte migliaia di pellegrini: facile immaginare la complessità sia della logistica che dei problemi legati alla sicurezza. È necessario dar prova che l’Italia è un Paese all’altezza di questa sfida e per la verità in altri casi simili, si pensi ai funerali di Giovanni Paolo II, la prova è stata superata bene, ma questa volta, considerando la delicata contingenza internazionale, i rischi sono molto alti.
Molti osservatori si chiedono se questa concentrazione di vertici politici possa favorire occasioni per scambi diplomatici sui grandi problemi aperti. Al di là di qualche photo-opportunity come si usa dire, dubitiamo possa accadere qualcosa si significativo. Gli scambi diplomatici richiedono tempo, concentrazione, preparazione da parte degli staff, tutte condizioni che non ci sembra possano esserci nel contesto particolare dell’omaggio al pontefice defunto.
È certamente molto significativo che un personaggio così particolare come papa Francesco raccolga un omaggio mondiale di questa portata: potrebbe significare una qualche forma di condivisione della denuncia di Bergoglio circa la fase cruciale che sta attraversando la nostra storia. C’è solo da sperare che non sia l’ennesima espressione dell’ipocrisia, cioè di quel modo con cui, secondo un famoso aforisma, il vizio rende omaggio alla virtù.
Tornando alla politica di casa nostra, è facile immaginare che essa guardi con una certa trepidazione a cosa uscirà dal conclave. La presenza della Chiesa nella realtà italiana è ancora significativa e la parola del Papa ha un peso.
Bergoglio si era tenuto lontano dalla politica politicante di casa nostra, non aveva sostenuto crociate a favore di questa o quella componente politica, aveva avuto rapporti istituzionali, umanamente cordiali come era nel suo stile, con i diversi governi succedutisi nei dodici anni del suo pontificato.
Il suo successore probabilmente continuerà su questa linea, ma inevitabilmente sarà diverso se si tratterà di un cardinale che viene dall’Europa, forse dalla stessa Italia, o da altri continenti (per inciso: a stretto rigore canonico il conclave potrebbe eleggere anche un non cardinale, ma non è mai successo negli ultimi secoli).
La politica italiana dovrà affrontare passaggi impegnativi nei prossimi mesi: la sua collocazione nella politica europea fra dazi e avvio del programma di difesa comune, le riforme istituzionali piuttosto divisive, in primis la riforma dell’ordine giudiziario e poi la legge elettorale, l’elaborazione della legge finanziaria. Sono tutte questioni che andranno ad infiammare ulteriormente quella lotta di fazioni che purtroppo è una costante di questa fase. Certamente la gestione più diretta della presenza del cattolicesimo in questa contingenza rimarrà alla CEI, ma non si può pensare che l’insegnamento del nuovo pontefice non eserciti una influenza potente.
Nella prima fase di un pontificato ci sono sempre prese di posizione forti, illustrazione di orizzonti verso cui tendere, interpretazioni della fase storica in cui viviamo: tutte materie sulle quali una politica troppo venata di faziosità come quella attuale rischia di gettarsi con la voluttà di trarre da quelle espressioni, strumentalizzandole, forza per la sua cronica debolezza.
Ci auguriamo ovviamente che così non accada e che prevalga invece quella speranza per un futuro migliore che papa Francesco voleva fosse la cifra del Giubileo in corso. A priori dunque vediamo di non escludere che la politica della razionalità e quella del sentimento di fratellanza possa ritrovare forza proprio nel passaggio da un pontificato all’altro.