Polonia, un nazionalista molto poco europeista al governo

Polonia, addio? È quello che si chiedono con apprensione a Bruxelles dopo la vittoria per un soffio del candidato nazionalista alla Presidenza, Karol Nawrocki. Con l’attuale primo ministro, il liberale europeista Donald Tusk, sarà certamente una convivenza difficile.

Tusk, in effetti, aveva riportato il paese nell’alveo comunitario nel 2023, dopo essere riuscito ad ottenere la maggioranza nel parlamento e a mettere la parola fine agli 8 anni di governo sovranista nelle mani del partito di estrema destra Giustizia e Libertà (PiS). Va ricordato che il PiS nei suoi anni al potere aveva portato la Polonia ai margini estremi dell’UE. Il governo liberticida dell’epoca, oltre a limitare molte libertà individuali, aveva fatto passare una legislazione che metteva sotto il controllo dell’esecutivo il sistema giudiziario. Per questo motivo la Commissione di Bruxelles aveva avviato la procedura di sospensione della Polonia previsto dall’art. 7 del Trattato di Lisbona per violazione dei principi democratici fondamentali su cui si regge l’UE. Inoltre, aveva congelato il trasferimento alla Polonia di 137 miliardi di Euro quale avvertimento in attesa di una condanna definitiva.

A quei tempi la Polonia era in buona compagnia con un altro reprobo delle regole comunitarie, l’ungherese Viktor Orbàn, che si vantava di avere inventato il concetto di “democrazia illiberale”, un ossimoro difficile da digerire per qualsiasi democratico.

L’arrivo due anni fa di Tusk al governo rimetteva quindi Varsavia in linea con le regole dell’Unione, anche perché il nuovo leader polacco era stato per ben 5 anni Presidente del Consiglio europeo, l’organismo in cui siedono i premier dei 27 Stati membri. La sua fama di europeista era quindi ben nota e il suo ritorno al governo lasciava davvero sperare che la Polonia, quinta economia europea, si sarebbe trasformata in un pilastro dell’integrazione europea. Ed in effetti il paese emergeva ben presto come un fattore decisivo per la coesione europea soprattutto alla luce dell’aggressione russa all’Ucraina. In stretta collaborazione con Francia e Germania, che assieme a Varsavia formano il cosiddetto Gruppo di Weimar, la Polonia ha rapidamente assunto un ruolo di punta in sostegno a Kyiv, soprattutto di fronte alla debolezza politica interna di Macron e all’incertezza tedesca prima dell’arrivo del nuovo cancelliere Merz.

L’arrivo alla Presidenza di Karol Nawrocki complica notevolmente questo quadro di riferimento. Nawrocki, sostenuto dal PiS è dichiaratamente scettico sull’integrazione europea, è contrario agli Eurobond, non vuole sostenere l’agenda europea sul Green Deal ed è contrario all’entrata dell’Ucraina nell’UE e nella Nato. Unico punto di contatto con Tusk è il sentimento anti-russo, anche se Nawrocki non vuole più inviare armi all’Ucraina (che è come appoggiare indirettamente Mosca). Il nuovo Presidente, in aggiunta, non ha alcuna esperienza politica pregressa (è stato pugile dilettante e “buttafuori”) e nasconde nell’armadio alcuni scandali sessuali. In cambio è sostenuto da Donald Trump con cui il candidato presidenziale ha avuto un rapido incontro alla Casa Bianca. Altro segnale di interferenza americana nelle elezioni dei paesi membri dell’UE, come è stato con il vicepresidente JD Vance nel caso della Romania o ancora peggio con Elon Musk in sostegno dell’estrema destra in Germania (AfD), che in effetti si è piazzata al secondo posto subito dopo il partito di Merz. Segno drammatico del populismo americano che sta contribuendo all’inquinamento di quel poco di democrazia europea che ancora resiste al grande vento sovranista e nazionalista di questi ultimi anni.

In questo quadro complesso bisogna ammettere che il Presidente della Polonia non ha grandi poteri di intervento in politica economica e nelle relazioni internazionali: queste sono prerogative del governo. Salvo un dettaglio, ma rilevante. Il Presidente può porre il veto sul bilancio del governo, bloccandone quindi le riforme in atto. Occorre un’ampia maggioranza, che il premier Tusk non ha, per respingere il diniego del Presidente. In questi casi l’unica soluzione per evitare di essere accusati dall’elettorato di non portare avanti le riforme è allora quella delle elezioni anticipate rispetto alla scadenza naturale del novembre 2027. Ma può Tusk prendere questo rischio? L’analisi dei flussi elettorali fa intravvedere una Polonia fortemente polarizzata fra città, dove prevalgono gli europeisti con le loro élite e le campagne dove la tutela degli interessi locali e della terra sono le uniche preoccupazioni. Un po’ come è successo negli Usa con la rielezione di Trump, che è dovuta molto agli umori dell’America profonda contro le aree metropolitane. In Polonia gli agricoltori hanno infatti un grande potere e si oppongono sia ai rifugiati ucraini che alle importazioni concorrenziali del loro grano, indebolendo così il sostegno a Kyiv. Difficile per Tusk risolvere queste ambiguità e percezioni diverse.

C’è da attendersi quindi un lungo periodo di instabilità in un paese chiave per l’Europa, di fondamentale importanza per fare fronte comune alla grande aggressività della Russia e per non consegnare gran parte dell’Europa dell’est nelle mani dei populisti.

vitaTrentina

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