«Al di là» è il titolo intrigante che il vescovo Lauro ha dato alla sua Lettera per san Vigilio. Vorrei far risuonare solo alcune delle riflessioni riportate e delle esperienze raccontate dal nostro pastore per darci modo di sostare un momento, di riprendere fiato.
Come ha scritto il direttore Diego Andreatta nell’editoriale dello scorso numero di Vita Trentina si tratta di una Lettera “coraggiosa e incoraggiante”.
Per quale motivo? L’Arcivescovo affronta un tema, quello della morte nella prospettiva cristiana e della buona notizia della vita eterna, ponendo attenzione all’orizzonte che la fede e la testimonianza di alcuni credenti prospetta a ciascuno sull’«al di qua».
Ha scelto di costellare la Lettera di esempi di persone incontrate che hanno vissuto il morire, proprio o altrui, come un’esperienza di passaggio, di testimonianza della vita di Dio, di gratitudine oltre che di dolore.
Se abbiamo il coraggio di andare un po’ in profondità rispetto a quanto don Lauro ci ha raccontato, non possiamo non domandarci che cosa ha permesso a queste persone di lasciarsi contagiare dalla vita di Dio al punto da riuscire a perdere la presa e a lasciarsi cadere fiduciosi nelle braccia del Padre.
Ce lo suggerisce l’Arcivescovo stesso. Nel raccontare degli incontri con alcune delle diverse persone nominate nella Lettera – due genitori, un confratello, una famiglia – ci fa intuire come ciascuno, a modo suo, avesse vissuto la sua esistenza come un dono da rimettere in circolo.
Erano, pur nelle loro fragilità, attenti al proprio sé e al contempo protesi verso gli altri.
Sara, oltre ad allenarsi, ha voluto restaurare una statua di Maria. Quella statua, adesso, profuma di eterno nella terra di Giovo.
Don Mauro celebrava l’Eucaristia in chiesa e nella concretezza dei suoi gesti quotidiani. Il suo sorriso è il tesoro nascosto che una moltitudine di persone custodisce nel cuore assieme al dolore della sua perdita.
La mamma di cui parla don Lauro, accogliendo e custodendo assieme al marito la vita dei loro quattro figli, ha voluto donare loro il respiro dell’eternità. E lo ha fatto accogliendo, assieme a loro, un sacramento che racconta del realismo e della consapevolezza di stare per iniziare un nuovo viaggio. Non si tratta di eroi o di persone speciali.
Ce ne sono molte attorno a noi. Lasciano di sé quello che donano. Sono fessure aperte di eternità.
Senza che nessuno lo sappia, vivono così il mistero della vita e della morte, come due realtà che si possono contaminare. Senza paura.
Perché l’esperienza dell’amore autentico, quello gratuitamente ricevuto e quello umilmente restituito, rendono più toccabile che l’«al di là» si coltiva nell’«al di qua».
Di fronte alla morte colpevole e ingiusta di migliaia di bambini, il minimo che dobbiamo a questo mondo impazzito, nel nome della fede che abbiamo ricevuto, è che ci lasciamo convertire il cuore dall’ardente cuore di Gesù e di Maria e iniziamo a restituire quel poco o tanto che ci è chiesto dalla vita.
Avremo in dono il miracolo di una pace e di una gioia tutta nuova perché eterna.