Vi è qualcosa di assurdo nella politica estera di Donald Trump. La sua conclamata volontà di punire gli alleati e non gli avversari. Va punita l’Unione europea, va abbandonata al suo destino l’Ucraina, va affrontato senza sconti il Canada che cerca di resistere ai dazi trumpiani e alle sue sfacciate proposte di trasformarsi nel 51° Stato Usa. L’unico a salvarsi fra i tradizionali alleati di Washington è il premier israeliano Benjamin Netanyahu che continua a massacrare i palestinesi di Gaza, malgrado le proteste e l’incriminazione da parte della Corte penale internazionale. Al contrario si blandisce l’aggressore di Kyiv, Vladimir Putin, iniziatore della prima grande guerra nel cuore dell’Europa dalla fine del Secondo conflitto mondiale. Altro che due pesi e due misure! Qui si sconvolgono i parametri normali della politica internazionale: guerra agli amici, accordi con i nemici.
Naturalmente per noi europei il fatto più grave e forse meno comprensibile è la chiara volontà di Trump di disaggregare l’UE e più in generale di colpire gli europei.
La prima questione sul tappeto sono naturalmente i dazi la cui misura può danneggiare duramente l’Unione. Per ora quelli generici sono stati fissati al 10%, mentre sulle auto e sulla componentistica al 25%, infine sull’acciaio e l’alluminio al 50%. Ma si tratta di misure transitorie, tanto per creare un clima di minaccia in attesa della decisione finale del 9 luglio. Il tutto è stato accompagnato da improperi verso l’UE da parte dello stesso tycoon e dei suoi scherani: europei parassiti, profittatori, disonesti e così via. L’ultima uscita di Trump è stata che l’UE imparerà a non essere “cattiva” con gli Usa: un modo di dire bambinesco che sembra tuttavia fare il pari con la dichiarazione ossequiosa e priva di dignità del nuovo segretario generale della Nato, l’olandese Mark Rutte, che lo ha definito il nostro “daddy”, papà. Fatto assolutamente scandaloso venendo da uno dei leader (è stato primo ministro dell’Aja) più ostili contro i paesi dell’UE indebitati, fra cui l’Italia, opponendosi duramente al varo degli Eurobond anche nel campo della difesa. Proprio sul piano della difesa bisogna poi sottolineare le pretese ricattatorie della Casa Bianca di arrivare al 5% del Pil (altro che indebitamento!) quale contributo dei singoli paesi Nato alle spese militari dell’alleanza. Un prendere o lasciare di fronte alla minaccia di Trump di abbandonare l’Europa al suo destino sul piano della sicurezza. D’altronde il graduale distacco dell’America dal fronte ucraino già si avverte: mancano i Patriot, gli antimissili per proteggere i cieli di Kyiv (erano stati dirottati su Israele per difendersi dall’attacco iraniano) e per di più il contributo di intelligence per aiutare la resistenza ucraina è quanto mai aleatorio. Intanto Mosca colpisce come non mai la popolazione e le infrastrutture civili della martoriata Ucraina mentre Putin ammassa nuove truppe nella direzione di Sumy, il caposaldo strategico per evitare la caduta del fronte dell’est ucraino. Non una sola parola di condanna sulle mosse di Putin da parte del tycoon americano, ma solo dichiarazioni di sostegno alle pretese globali della Russia, come quella di farla rientrare nel G7 dopo la cacciata del 2014 (prima guerra contro l’Ucraina) da parte di Obama. Perfino sul fronte mediorientale il disprezzo di Trump verso l’Europa è più che mai evidente. Un paio di giorni prima dell’improvviso attacco militare all’Iran per colpirne i siti nucleari, gli americani assieme agli europei avevano partecipato ad un incontro a Ginevra con una delegazione iraniana per riprendere il negoziato sul controllo del nucleare di Teheran. Il tutto con la promessa di Trump di estendere a due settimane il tempo per arrivare ad un accordo. Invece i bombardamenti Usa sono iniziati quasi subito senza naturalmente avvisare gli europei in anticipo, ma solo ad operazione già avviata. Insomma è sembrato che la delegazione europea giocasse il ruolo di “utile idiota” per coprire le vere intenzioni di Trump. Episodi che dovrebbero mettere nel massimo allarme i membri dell’UE. Invece l’Europa appare sulla difensiva e incapace di reagire con la necessaria durezza alle giravolte del presidente americano e sulla sua ormai evidente propensione a favorire il dialogo e i rapporti con le potenze mondiali che contano, dalla Russia alla Cina. Sul tema dei dazi, prossimo showdown euro-americano, (materia che rappresenta una competenza esclusiva della Commissione europea) non si è ancora visto un vero e proprio incontro bilaterale fra il tycoon e Ursula von der Leyen. è come se Trump volesse a tutti i costi negare ad Ursula il ruolo di rappresentante comune dell’odiata UE.
D’altronde noi europei non possiamo lamentarci di tale trattamento. Abbiamo fatto di tutto per apparire deboli e ossequiosi e non abbiamo compreso che Trump doveva essere apertamente affrontato, pronti ad usare anche da parte nostra l’arma del ricatto, come dimostrano gli oltre 450 milioni di consumatori europei, la massima concentrazione mondiale di buoni affari commerciali anche per gli Usa. Ma invece prevalgono ancora una volta le divisioni fra di noi. è successo con il 5% di aumento delle spese per la Nato, con la Spagna che non ha accettato l’imposizione americana. O come si sta delineando in questi giorni con un cancelliere Merz pronto ad accettare un accordo qualsiasi con Trump, pur di salvare il proprio comparto automobilistico diminuendone i dazi oggi fissati al 25%. Un Merz in contrasto con la posizione di Macron che vorrebbe varare ritorsioni contro l’import statunitense e mantenere le web tax sulle grandi multinazionali tech, oggi molto legate a Trump.
Speriamo che dal cappello della von der Leyen salti fuori qualche proposta utile per tutta l’Unione e si eviti questa assurda corsa nazionale alla corte dell’autocrate americano.