Fantappiè: “Perchè vorrei cambiare il diritto canonico

somm: Il prof. Carlo Fantappié illustra a Vita Trentina l’esigenza di un nuovo paradigma nel libro presentato dall’Istituto Guardini a Trento

L’attuale codice canonico andrebbe rinnovato al più presto perché la Chiesa possa tornare ad offrire risposte alle coscienze dei fedeli. È questa la tesi diffusa da Carlo Fantappié, professore ordinario di Storia del diritto canonico all’Università di Roma Tre, nel suo libro ‘Per un cambio di paradigma’, presentato nei giorni scorsi a Trento con altri docenti trentini in un seminario promosso da Istituto di Scienze Religiose “Guardini” e Università di Trento.

Professore, in un suo testo Lei descrive teologia e diritto come ‘separati in casa’. Che cosa intende quando usa questa immagine?

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Il legame fra la teologia e il diritto canonico è un legame profondo, fin dal XII secolo. Si tratta di materie connesse che, assieme alla storia, hanno sempre svolto nel sistema teologico ciascuno una loro funzione. Nel senso che la teologia dava i principi, il diritto canonico ne cercava l’applicazione sul piano della disciplina ecclesiastica e la storia serviva per la consapevolezza del divenire nella Chiesa.

Lei spiega nel suo ultimo libro che la svolta è arrivata nel 1917 con il nuovo Codice di diritto canonico. In che senso?

È successo che nel 1917 la Chiesa cattolica ha voluto sostituire il sistema precedente per assumere il modello tecnico dei codici civili degli stati moderni. Però, se il sistema precedente era un sistema estremamente aperto, dove il diritto canonico poteva essere trasformato a seconda dei mutamenti sociali, dopo la codificazione il sistema è stato irrigidito e tradotto in una serie di leggi da applicare sempre e comunque.

Ed oggi pur tenendo conto del Codice, perché lei indica l’esigenza di un cambio di paradigma?

Credo che non possa più essere considerato valido in modo assoluto il vecchio paradigma codicistico che ha la pretesa di chiudere le leggi della Chiesa entro un codice immobile.

Pur continuando a farvi riferimento per i principi basilari della Chiesa, dobbiamo trovare il modo di lasciar aperta la strada ai diritti delle Chiese particolari, delle Chiese continentali e di altre forme della Chiesa che vive anche in culture diverse da quella europea, che però rivendicano una loro legittimità al suo interno.

Facciamo un esempio: la questione dei divorziati risposati risente probabilmente degli effetti di questo paradigma codicistico…

Non solo risente di questi effetti, ma riflette anche la separatezza fra teologia e diritto canonico. Io ritengo che la soluzione ai problemi dei divorziati risposati risieda invece nel recupero di una dimensione propria del diritto canonico, cioè quella di agire non solo sul piano delle relazioni esterne tra i fedeli, il cosiddetto foro esterno, ma anche sul rapporto fra la propria coscienza e Dio, cioè il foro interno. In questo senso però va ricordato che l’invocazione al principio del primato della coscienza non può essere lasciata ai singoli fedeli, ma deve essere mediata dall’istituzione ecclesiastica.

Possiamo dire che se la Chiesa vuole davvero rinnovarsi e riformarsi, anche il diritto canonico deve farlo?

Sì, e questo è un compito molto importante. Purtroppo, da un secolo a questa parte i canonisti si sono preoccupati di interpretare il Codice alla lettera, senza fare i conti con i mutamenti strutturali di una società ormai multiculturale e multireligiosa. Oggi però non si può più pensare che il riferimento ai canoni del Codice possa essere sufficiente per inquadrare, porre i problemi e trovare le soluzioni canoniche.

In definitiva, come si può interpretare il Codice?

Tenendo conto del contesto storico e particolare, non più in maniera astratta. D’altronde, se l’obiettivo del diritto canonico è la salvezza spirituale dei fedeli, allora non è possibile credere che una medesima regola giuridica si possa applicare ad ogni fedele, in ogni continente e in ogni situazione. Al contrario, il diritto medievale teneva sempre in considerazione quello che era il bene spirituale del fedele. In questo senso si tolleravano anche delle infrazioni alle leggi canoniche per evitare il male maggiore. Dopo il Codice questa visione è scomparsa. Questo sistema flessibile è diventato rigido ed è necessario rinnovarlo perché la Chiesa possa tornare ad offrire risposte all’evoluzione della società e alle coscienze dei fede

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