Da Ravasi al maestro Gasperi, una lettera la musica sacra

Coro parrocchiale

gli spunti

“ Caro prof. Antonio Gasperi, ho letto con molto interesse le Sue osservazioni. L’impegno che il nostro dicastero sta sviluppando va nella stessa direzione. Abbiamo intenzione di organizzare un quarto convegno il prossimo anno dedicandolo ai testi dei canti e della liturgia in genere. Le auguro di continuare nella Sua opera con la stessa intensità e passione. Con un ricordo a Dio e con simpatia”.

Card. Gianfranco Ravasi

Vaticano, 20 novembre 2019

Fratelli, con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda , con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori.

Paolo di Tarso, Lettera ai Colossesi

Domenica della Santa Famiglia, 29 dicembre 2019

La musica sacra è la grande incompiuta del Concilio Vaticano II. E’ anche, non è eccessivo ipotizzarlo, una delle ragioni della povertà dell’attuale liturgia. I canti predisposti – volonterosamente ma spesso intellettualisticamente – non hanno né la profondità essenziale dell’antico gregoriano, né la tensione appassionata (ed anche dolorosa, fra cielo e terra) della grande tradizione musicale cristiana, capace di accumunare “ad maiorem Dei gloriam” cattolici, protestanti (Bach!) e ortodossi, con la loro splendida coralità.

Non hanno neppure la suggestione popolare dei canti natalizi o mariani, mentre l’apertura al “nuovo” seguita all’introduzione delle chitarre in chiesa, benché effettuata con ottime intenzioni e grandi speranze, si è ben presto esaurita nella spazio di qualche stagione.

Oggi i giovani hanno tutta la musica possibile sul telefonino, la cliccano e non la suonano.

Il problema maggiore sta però nel fatto che in mezzo secolo la “nuova musica” non è riuscita a convincere, ad affermarsi, tanto che i celebranti, quando invitano l’assemblea a intonarla, ottengono per lo più il silenzio o un mescolarsi di voci dissonanti che il silenzio fanno rimpiangere.

Senza dire che anni di mancata “educazione all’ascolto” nelle chiese ha portato ad una sorta di “divorzio” fra musica professionale (nei conservatori, nelle sale da concerto, nei giovani esecutori in carriera) e il “saper cantare” che non a caso ormai accusa una carenza di vocazioni anche a livello di coralità popolare, pur così radicata nel Trentino. Non c’è da stupirsene.

Come hanno documentato gli studi di Pier Giorgio Rauzi la coralità parrocchiale è stata l’incubatrice della coralità popolare, ma in questi anni sono pressoché scomparse quelle “scuole sul campo” che erano gli oratori, i campeggi (la sera attorno al fuoco), le gite in corriera, dove si imparava a cantare dai compagni.

Questi 50 anni però non sono passati invano, anche grazie al lavoro incessante dell’Istituto diocesano di Musica Sacra, posto che il canto si è rivelato, per la Chiesa, non solo momento liturgico, ma occasione pastorale. Anche un coro di poche voci, una pianola, sanno creare comunità. E’ riemersa anche la necessità di riprendere una tradizione di proposte musicali sacre (composizioni …) perché una visione di rispetto per il creato deve accompagnare la vita quotidiana, anche per dare significato alla laicità dopo una stagione secolarizzata che sta mostrando tutti i suoi limiti, esistenziali e culturali.

Questi problemi sono ben presenti nel Trentino come a Roma, in Vaticano, dove al tema si sono stati dedicati numerosi convegni. In questo senso la recente lettera personale del Cardinal Ravasi, presidente del “Consilium Pontificium De Cultura” al maestro trentino Antonio Gasperi è non solo una testimonianza di stima verso il musicista, ma anche di attenzione nei confronti di una diocesi e di un territorio che nella coralità hanno aperto scenari internazionali di testimonianza e volontariato. Ma i “volontari” vanno indirizzati, “armonizzati”, altrimenti si rivelano dispersivi, autoreferenziali. Proprio in questa direzione si è mosso il M° Gasperi proponendo di estendere corsi di “canto” che già in alcune parrocchie sono stati avviati, non solo unendoli alla catechesi, ma come esperienza “insieme”per i bambini. Si tratta quindi di agire su due livelli: uno con volontari di altre coralità disponibili, in piccoli (o grandi se ci sono!) gruppi affiatati, realtà che già esistono e vanno prese ad esempio, come a Mavignola in Val Rendena, o a Levico, Barco e Santa Giuliana. Il secondo avviando una sorta di “Schola cantorum” per ragazzi, così da non disperdere un patrimonio musicale secolare.

La musica non è solo un ornamento liturgico, è una preghiera di lode. Per questo oltre alle parole del Cardinal Ravasi risulta utile meditare sulla lettera di San Paolo che invita a “istruirsi”. e a “cantare inni” di gratitudine per il creato.

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