«Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!»

7 dicembre 2025 – Domenica II Avvento A

Is 11,1-10; Sal 71; Rm 15,4-9; Mt 3,1-12

«Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!» (Mt 3,2)

In questa seconda domenica d’Avvento, la liturgia mette a confronto il messaggio apparentemente opposto di due profeti: Isaia e Giovanni il Battista. Isaia dipinge un mondo di pace, dove violenza e ingiustizia svaniscono per sempre; Giovanni annuncia il giudizio come scure che abbatte e fuoco che consuma. Come comprendere le loro parole?

Credo che entrambi proclamino la presenza del Regno, di un mondo nuovo che preme per venire alla luce. Isaia lo descrive, Giovanni lo annuncia: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!» (3,2). Ma proprio la sua vicinanza “mette a nudo”, svela il peccato nascosto. Per questo non basta sottomettersi a un rito o presentare “credenziali di appartenenza” al popolo eletto o alla Chiesa: serve un cambiamento radicale di mentalità che si traduca nel fare «un frutto degno della conversione».

Nella logica di Matteo non è prevista alcuna fuga dalla realtà: la confessione di fede si incarna in un fare intelligente e libero, che non si lascia imprigionare nel disfattismo, nella critica esasperata, nella rassegnazione o nell’indifferenza. Camminando con lui scopriamo che la giustizia è il “cuore” del Vangelo, ma una giustizia dilatata dalla misericordia, da un amore senza limiti che vede in ogni persona un fratello o una sorella da accogliere, perché in essi Dio abita. Non si tratta di operare miracoli e segni prodigiosi (7,22-23), ma di vivere la stessa perfezione del Padre, la sua misericordia (5,43-48). È l’etica dell’I care! (don Milani): il mondo mi interessa, mi importa, mi coinvolge… perché vedo i semi di risurrezione sparsi nella cenere della storia, perché voglio costruire insieme agli altri un’umanità nuova, fraterna.

Giovanni il Battista rivela che questa conversione è impegno e dono. Colui che verrà «battezzerà nello Spirito Santo», immergerà nella vita stessa di Dio, ma chiederà di aprirsi a un’immagine diversa di Dio. Come vedremo domenica prossima, lo stesso Giovanni sarà chiamato a lasciarsi sorprendere da Dio quando, scandalizzato dalla persona e dal messaggio di Gesù, invierà i suoi discepoli a chiedergli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» (11,5). Il Cristo, infatti, non si era manifestato come scure, ventilabro o fuoco, ma come colui che «Non contesterà né griderà né si udrà nelle piazze la sua voce. Non spezzerà una canna già incrinata, non spegnerà una fiamma smorta» (12,20).

E forse è proprio in questo cammino di conversione che i due messaggi si incontrano. Isaia annuncia che Dio farà nascere un germoglio da un tronco ormai morto; il Vangelo ci chiede di compiere lo stesso miracolo, facendo germogliare rami secchi e trasformando le tenebre in luce. Credere che il Signore verrà, anzi è già tra noi, chiede di allenare gli occhi del cuore a cogliere i segni della sua venuta nella storia, nella nostra storia personale e nella grande storia dell’umanità, cogliendo e coltivando i germi di vita, i semi di risurrezione, anche se nascosti nell’inverno della morte. È divenire, in sintesi, profeti del Regno, non mimetizzandoci tra la folla o nell’alibi della nostra povertà, ma ponendo segni creativi di relazioni nuove, capaci di opporre alla logica profanante della violenza, l’utopia della mitezza.

Chiediamoci allora: stiamo scegliendo il Regno? Crediamo che Dio è vicino, si è impegnato con noi, in questa storia?

vitaTrentina

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