I gesuiti e la globalizzazione: “Il mondo è la nostra casa”

Nell’analisi di Josè Casanova, i gesuiti e la globalizzazione rimandano anche alla figura di Papa Francesco, alla sua “diversità” e al fascino che suscita in credenti e non

La crescita della consapevolezza dell'unità del mondo: è nella storia dei gesuiti un modo di vita e insieme un programma di azione originale sia nell'antico mondo come pure nel mondo moderno. Per la prima volta a Trento, José Casanova, uno dei maggiori sociologi della religione degli ultimi decenni, ha parlato alla Fondazione Bruno Kessler di come nella lunga e variegata storia della Compagnia di Gesù si possano intravedere e rintracciare dei modelli innovativi di dialogo interreligioso al fine di un reciproco riconoscimento. Con evidenti e non remote conseguenze anche per la pacificazione tra i popoli e tra le Nazioni. Sono tesi, le sue, che oltre la secolarizzazione, travalicano quelli che sono stati chiamati "gli orti disciplinari eterogenei" per lanciare una sfida al pluralismo religioso globale rispettoso delle fedi e delle storie millenarie di ciascuna. Saper unire le forze, le storie, appunto, e il sapere per costruire una migliore convivenza della "famiglia umana".

I gesuiti e la globalizzazione, due vocaboli che per José Casanova rimandano anche alla figura di Papa Francesco, alla sua "diversità" e al fascino che suscita nel mondo dei credenti e così pure nell’opinione pubblica laica, la sua provenienza geografica e culturale, in un contesto mondiale in cui si avverte la necessità imprescindibile del dialogo interreligioso costruttivo e positivo. E non a caso il sociologo delle religioni ha esplicitamente accennato a un passaggio dal dia-logo alla dia-pratica come paradigma di un fattivo cambiamento ovvero “ciò che possiamo acquisire con il riconoscimento reciproco”.

La storia dei gesuiti a tal punto risulta esemplare perché, per Casanova, l’Ordine fondato da Ignazio di Loyola ha saputo creare fin dall’inizio le condizioni per formare missionari ed educatori “globali”. Gettando ponti di considerazione e di inclusione e non di disprezzo – legami, riconoscimenti culturali – tra vecchio mondo europeo e “nuovo” mondo. Ed il mondo globale, dal Sudamerica della Conquista, all’Asia, con il Giappone, fino alla Cina, è stato “il mondo intero al centro delle loro attività pastorali”.

“Il mondo è la nostra casa” è stato fin dai primordi per i gesuiti non una parola d’ordine, ma un faticoso e liberante impegno con forti connotazioni mondane e secolari, ha insistito Josè Casanova. Con implicazioni, cioè, che andavano dall’economia alla politica, in taluni casi uno stato nello stato con l’intento ben preciso di quella che rimaneva la missione principale. La salvezza integrale delle persone, ad majorem Dei gloriam, le persone nella loro interezza, altro non significava “aiutare le anime”, ciascuna persona nella sua irriducibile unità di corpo e spirito, persona da migliorare, spronare, elevare per una sempre migliore realizzazione di sé.

Non ci sono sbavature nell’analisi di Casanova; se qua e là frange di gesuiti hanno deviato, questo non scardina l’asse portante che colloca la missione al primo posto – “viaggiare in ogni parte del mondo” – per l’affermazione di un umanesimo integrale sia nelle missioni tra i popoli guaranì, quechua e aymara in Sudamerica come nelle opere di “evangelizzazione e promozione umana” di Matteo Ricci a Pechino e di Martino Martini in Estremo oriente.

E’ la capacità di saldare – osserva il sociologo di Saragozza – “la religione universale con la cultura particolare e locale”. Una sfida aperta all’imperante eurocentrismo, che aveva la pretesa di dettare modelli e stili di vita ritenuti validi per tutti e “universali”, da esportare e imporre.

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