“Spezziamo il silenzio sulla strage degli indios”

Con fermezza rivendica i diritti della sua gente, gli indios Guaranì Nandeva, nell'Amazzonia brasiliana. “La nostra gente viene sterminata e nessuno viene perseguito”

Rocha vuol dire roccia e Leila Rocha è una donna ferma e decisa nel rivendicare i diritti della sua gente, gli indios Guaranì Nandeva, in Mato Grosso del Sud nell’Amazzonia brasiliana.

Sta girando l’Europa, coadiuvata da tanti piccoli gruppi di solidarietà, per denunciare il tentativo di sterminio del suo piccolo popolo, e di altri popoli dell’Amazzonia.

Erano presenti tanti giovani ad ascoltarla mercoledì 2 ottobre presso il Centro per la cooperazione internazionale di via San Marco a Trento, un bel segnale di interesse e apertura, di passione politica (per quella grande polis che è oggi il mondo).

Leila Rocha rappresenta una realtà di resistenza e resilienza vissute pienamente dovendo fare i conti, ad esempio, con un fenomeno inquietante, i giovani guaranì che sono coinvolti in un’epidemia di suicidi. E scelgono il suicidio, questi ragazzi, impiccandosi (i guaranì credono che l’anima è nella voce e togliendo la voce diparte l’anima) un modo estremo – tragico, allarmante – per denunciare una condizione di invivibilità, costretti ad andarsene dalle loro terre, privati delle condizioni minime di libertà. Ma è proprio perché i giovani vivano e scelgano la vita piena che Leila Rocha si batte, non da sola, insieme alle donne indigene, battagliere e unite, propositive e tenaci.

Si stanno organizzando non sopportando queste morti precoci ed ingiuste, vogliono che i loro giovani vivano, speranza autentiche delle loro comunità. Non sono sole. Il Consiglio Indigenista Missionario (CIMI), emanazione diretta della Conferenza episcopale brasiliana, le accompagna, supportandole e sostenendole in tutto quanto è possibile e con le forze che ha.

E occorre dire e ribadire che oggi il Brasile non è solo Bolsonaro –pure se occupa le notizie con le sue farneticazioni tipo “l’Amazzonia è nostra e ne facciamo quello che vogliamo”. Il Brasile oggi è composto da tante piccole realtà di resistenza, realtà di base che faticano a “fare notizia”, ma ci sono, esistono, diffuse, reticolari, in collegamento tra loro altrimenti l’isolamento fa perdere. Realtà vivacissime. L’Assemblea delle donne indigene è una di queste realtà e raduna le rappresentanti di tanti “piccoli popoli”, con la loro sensibilità e passione.

“Sono qui a nome del mio popolo –ha proclamato Leila Rocha-, voglio denunciare che la nostra gente viene sterminata e nessuno viene perseguito, perché siamo considerati poveri e inferiori”. Negli ultimi mesi sono state assassinate 360 persone (e sono cifre ufficiali per difetto, quelle registrate, ma non si conoscono i numeri reali, che sono maggiori), padri di famiglia, lasciati a terra nel sangue di fronte alle loro spose e ai figli. “Veniamo cacciati dalle nostre terre, quelle terre che da sempre abitiamo, sono state le terre dei nostri genitori e nonni, dei nostri antenati, da sempre. Dove sono sepolti i nostri cari. Anche per questo per noi la terra è sacra. E’ benedetta dal sangue dei martiri”.

 La denuncia di questa donna è forte, non una supplica ma denuncia netta, inequivocabile: “Non sappiamo come difenderci, non abbiamo armi e non le vogliamo, mentre loro arrivano con i furgoni e le jeep da dove scendono a decine: sono i killer mandati dai proprietari terrieri”. Poi scattano le indagini, che risultano lente; e non si riesce quasi mai a trovare i responsabili materiali e neppure i mandanti.

Per spezzare questa catena di sangue –e le catene che tengono imbrigliati gli indios- si batte questa donna indomita insieme ad altre donne. Attiva la solidarietà, chiede che queste persone non siano dimenticate, come sarebbe facile, ma micidiale per loro.

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