E la Commedia si fece dono

“E quindi uscimmo a riveder le stelle”. Alla fine di ogni cantica Dante ha collocato – quasi come a imprimere la propria firma – una terzina in cui parla delle stelle. E' un invito insistito ad elevare lo sguardo, a scoprire la propria vocazione, a cercare un punto di riferimento alto.

E' partito da questa significativa annotazione – che riprende Oscar Wilde (“siamo nati tutti nel fango, ma alcuni di noi guardano le stelle”) – il biblista Gregorio Vivaldelli per aprire l'appassionante serata dal titolo “Libertà, vo' cercando…”, proposta dallo STAT (Studio Teologico Accademico Tridentino) e dal Collegio Arcivescovile nell'aula magna gremita, con tanti giovani. A loro il docente apprezzato per questa “lettura esistenziale” nel Basso Sarca e fuori diocesi ha dimostrato come l'ingresso nel mondo della Divina Commedia ci offre la possibilità di aprirci alla relazione con Dio: “Dante, in fondo, vuole dirci che tu ti realizzi quando punti sulla relazione, quando ti scopri come creatura relazionale, in rapporto con Dio, con gli altri e con il Creato”. E' l'Alighieri stesso in una lettera a Cangrande, a spiegare di aver scritto l'opera per “allontanare i viventi dallo stato di miseria per condurli ad uno stato di felicità”: per lui Dio “si prende cura di noi”, ci ha creato per la gioia e “vuole donarcela in abbondanza”.

E via allora “nel mezzo del cammin” con la guida di Virgilio e del prof. Gregorio che non vuole imitare Benigni (lo pareggia però per ammirazione verso il Sommo Poeta) e tanto meno rubare il mestiere ai dantisti. Prevale piuttosto il suo fiuto di biblista, che stana concordanze e risonanze, ed ha il merito di invogliare al viaggio i diffidenti e, insieme, di sorprendere gli esperti. Senza pretese accademiche e rare concessioni all'attualità (qualche tirata a Maria De Filippi e all'invadenza degli smartphone), Vivaldelli stupisce e fa pensare: il biblista s'impone un passo indietro, lascia fare il Poeta.

Accompagnati dalle voci del quartetto della Scuola di Musica Sacra, si scende prima nella fragilità dell'Inferno per ascendere “sempre in alto” (come sarebbe piaciuto anche a Pier Giorgio Frassati), sostando a lungo nell'antiPurgatorio, in compagnia di Catone, luogo prescelto per sottolineare lo sguardo misericordioso di Dio e per evidenziare il tema della serata: “La vera libertà è quella che ci porta a rendere più liberi gli altri”, come aveva detto il rettore del Collegio Arcivescovile, don Bruno Tomasi, legando la ricerca di libertà alla dimensione del servizio”.

E “servire” sta anche nel motto episcopale di mons. Bressan, attentissimo in sala, al quale anche il direttore dello STAT don Giulio Viviani si è riferito nel presentare il regalo di questa serata come prima iniziativa per i suoi tre giubilei: il 50° di sacerdozio, il 25° di ordinazione episcopale e il 15° di servizio a Trento. “Tutti siamo chiamati dalla vita e da nostro Signore a prenderci delle responsabilità" è stata la sintesi “dantesca” di Bressan che, visibilmente, commosso, ha sottolineato: “Questo comporta fatica e difficoltà, ma anche immense gioie e soddisfazioni, specie se al centro poniamo il rapporto con gli altri e la misericordia. Oggi non voglio guardare al passato, ma al futuro che ci attende e alla comunità che intendo servire ancora con onore, passione e spirito di sacrificio”.

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