Custode del dialogo

"La pace non è solo un accordo che si firma, Oslo è fallito perché è mancata un'opera di formazione sul territorio, indispensabile per creare le premesse sociali, culturali e religiose idonee a far sì che andasse a buon fine. La pace si costruisce nel tempo, nelle scuole e nei luoghi di culto dove le autorità religiose hanno elevate responsabilità nel far sì che il seme della pace attecchisca e germogli". Parlare dell'altro con rispetto e tolleranza, oppure considerandolo realtà inferiore a cui non riconoscere alcun diritto è la differenza tra costruire ponti oppure muri che impediscono il dialogo.

Ispirato alle parole di Papa Francesco, "costruire ponti non muri", il cuore del messaggio di Padre Pierbattista Pizzaballa, Custode di Terra Santa, ospite a Trento sabato 19 settembre per una giornata di incontri (vedi box) organizzati dalla Provincia Tridentina dei Frati Minori e dalla neonata Associazione Amici di padre Pietro Kaswalder, è racchiuso in queste parole. Ha suscitato grande attenzione e interesse la testimonianza offerta alla cittadinanza durante l'incontro serale svoltosi nella sala di rappresentanza del comune di Trento a palazzo Geremia, per l'occasione gremita e con tanti rimasti in piedi, alla presenza dell'arcivescovo Luigi Bressan e del sindaco Alessandro Andreatta.

"La situazione in Libano, Siria e Iraq è molto complessa. Da secoli i popoli che abitano lì non riescono a convivere pacificamente, ma oggi assistiamo ad un imbarbarimento delle relazioni sociali tra le varie comunità che non ha eguali", ha esordito il padre francescano, a Gerusalemme dal 1990, al terzo mandato nel servizio di Custode dei luoghi della cristianità in Terra Santa e osservatore privilegiato della situazione geopolitica in Medio Oriente.

"La Siria è un Paese che non esiste più: ospedali scuole, tribunali sono stati distrutti, da tre mesi Aleppo è senza acqua ed elettricità. A causa della guerra, la maggior parte della popolazione è sfollata – 7 milioni di abitanti all'interno, 2-3 milioni nei campi profughi in Giordania e Libano o in transito verso l'Europa come mostrano le cronache quotidiane".

La guerra in Siria era nata come guerra civile contro il regime di Assad, ma quella che si combatte lì non è una guerra contro i cristiani, ha precisato padre Pizzaballa: "È diventata una guerra di potere tra fazioni musulmane opposte – sunniti e sciiti – rispetto alla quale le vittime cristiane sono un danno collaterale, visto che la maggior parte dei morti sono musulmani. Non è neppure una guerra di civiltà – orientale contro occidentale -, il fondamentalismo islamico di Isis, infatti, mira ad annientare ogni forma di civiltà diversa dalla propria ed è la risposta sbagliata alle istanze della modernità arrivate anche lì ma rifiutate".

Il fondamentalismo non è espressione di tutto l'Islam, ma negli ultimi decenni "l'insegnamento nelle scuole islamiche e nelle moschee ha puntato sull'educazione al rifiuto dell'alterità, ponendo le basi che ne hanno determinato la nascita".

Rispetto alla Terra Santa e a Gerusalemme, dove le tensioni relative al conflitto israelo-palestinese sono fisiologiche e non vi è alcuna prospettiva di negoziato, il Medio Oriente sta attraversando un periodo di mutamenti rapidi e drammatici, in cui l'assenza di sviluppo sociale, politico, culturale ha creato una situazione di povertà assoluta. "Si tratta di una crisi grave, la fine di un modello di civiltà, poiché i regimi sono caduti o stanno per cadere, come quello di Assad, e non essendoci un'alternativa, il vuoto è stato riempito dal fondamentalismo di ISIS che compra le armi vendute dagli occidentali, ma non è la fine di tutto: questo è un sistema che imploderà su se stesso".

Non si intravede ancora la fine della guerra, ma il problema reale riguarda il "cosa succederà dopo" poiché manca un progetto di ricostruzione e chi potrebbe coordinarlo, creando "il ponte" tra sunniti e sciiti e la comunità internazionale. Il panorama è confuso e nebuloso e secondo il Custode di Terra Santa il rischio maggiore è che ogni comunità resti chiusa nel proprio dolore, aggrappata ad una lettura parziale degli eventi, quella di chi giudica la situazione solo dal punto di vista politico o religioso. "Una volta terminato il conflitto, chi resterà lì dovrà invece ricominciare a costruire le relazioni quindi è importante tenere vivo il dialogo".

Ad Aleppo sono rimasti poco più di 20.000 cristiani (su 300 mila), in Iraq 200 mila (su 1 milione), in Terra Santa rappresentano l'1% della popolazione. Una realtà piccola, irrilevante, che secondo padre Pizzaballa non sparirà: "I cristiani rimasti ad Aleppo hanno perso tutto, ma non la fede e portano avanti la loro testimonianza con dignità, pur in mezzo al progressivo imbarbarimento sociale. Rappresentano un punto fermo dal quale ripartire per costruire insieme – cristiani, ebrei e musulmani – il futuro del Medio Oriente". Un futuro di pace in cui la comunità cristiana, pur impoverita numericamente, appare determinata e consapevole nel voler salvare l'immagine di Dio nell'uomo.

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