Uno sguardo “altro”

La vita cristiana e la vita consacrata sono movimento, cammino sulla Via che è Gesù

La “quinta Via”, quella del Trasfigurare. rappresenta la sintesi delle Vie precedenti (Uscire, Annunciare, Abitare, Educare). A loro volta le altre quattro Vie, seguendo l’esempio di umanizzazione variamente interpretato da Gesù, sono il frutto di una realtà trasfigurata.

Trasfigurare è uno sguardo di fede, uno sguardo “altro” sulla realtà dell’uomo, del mondo e della storia. Ciò implica un cambiamento innanzitutto di noi stessi, una con-versione, un atteggiamento di continua tensione e attesa, rivolti ed accompagnati da Cristo Gesù crocifisso e risorto.

Va osservato che non vi è vero umanesimo se non è aperto all’Assoluto; per questo la traccia per il Convegno ci ricorda che “le comunità cristiane sono nutrite e trasformate nella fede grazie alla vita liturgica e sacramentale e grazie alla preghiera. Esiste un rapporto intrinseco tra fede e carità, dove si esprime il senso del mistero: il divino traspare nell’umano, e questo si trasfigura in quello. Senza la preghiera e i sacramenti, la carità si svuoterebbe perché si ridurrebbe a filantropia, incapace di conferire significato alla comunione fraterna”.

Il cristiano ha come riferimento lo sguardo di Gesù, che sempre sorprende, perché capace di intravedere l’umanità nelle situazioni del vissuto di ogni uomo e di ogni donna.

p. Saverio Biasi

Marco Arman

Il contributo sul tema del “trasfigurare” (dal latino trans-figurare, portare oltre la figura esteriore, oltre ciò che appare) che possiamo offrire per questa vostra preziosa riflessione in vista del Convegno Ecclesiale di Firenze, vuole partire da una parola di santa Chiara che è un’esortazione alla consorella sant’Agnese di Praga: “Trasformati interamente, per mezzo della contemplazione, nell’immagine della divinità di Lui” (Terza lettera di s. Chiara a s. Agnese, 13). Nell’esortazione di santa Chiara il “trasformati” (dal latino trans-formare: portare oltre la forma visibile) è equivalente di “trasfigurati”, ma non indica una conoscenza più o meno esoterica di Dio che conduce a esiti “divinizzanti”. La contemplazione è parte dell’esperienza cristiana perché il nostro Dio si è manifestato nella carne, si è reso visibile, contemplabile, ha deciso di cadere sotto i nostri sensi, di lasciarsi toccare, vedere, udire… persino mangiare (cfr 1 Gv 1, 1-4) con l’unico scopo di farci entrare in comunione con lui e fra noi.

Trasfigurare e convertire (dal greco metanoèite, cambiare mentalità), sono entrambi verbi di movimento: perché la vita cristiana e la vita consacrata non sono anzitutto una religione (dal latino re-ligare, legare), ma sono movimento, sono cammino sulla Via che è Gesù.

La profondità del mistero del Verbo incarnato, dell’Uomo-Dio Gesù Cristo si offre a noi nella modalità della sua stessa relazione con il Padre, una relazione fatta di intimità, di ascolto, di unione amante delle volontà. La vita contemplativa nella Chiesa altro non è che il rivivere la relazione di Gesù che si ritira in preghiera sul monte, solo con il Padre: da questa comunione di amore Gesù ha tratto le motivazioni e le modalità del suo agire per la salvezza del mondo: “il Padre mio opera sempre, e anche io opero” (Gv 5,17). Noi professiamo la fede nelle cose visibili e quelle invisibili, e queste ultime, le cose invisibili, non sono lontane dalla nostra esperienza quotidiana: ogni volta che ascoltiamo la Parola di Dio noi poniamo la nostra fede nelle cose invisibili e intoccabili, perché tale è la P/parola.

Dio non appartiene alle realtà visibili, eppure la relazione con Lui, anzi la sua relazione con noi, è il cuore della nostra vita e della nostra fede. Questa relazione ha il volto di Gesù, il Verbo incarnato, Figlio di Dio e di Maria, fratello nostro. E questo volto lo possiamo incontrare e contemplare nei Vangeli e nei sacramenti, nei fratelli e persino nella creazione, nella legge naturale… perché tutto ciò che esiste è stato pensato e voluto nel Figlio di Dio e ha Lui come fine, come canta san Paolo nella lettera ai Colossesi (1, 12-17), che è il canto di coloro che già ora (!) sono tras-feriti (dal latino trans-ferre, portare oltre) nel suo Regno: “Ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore”.

Il mistero dell’Incarnazione è il fondamento della contemplazione, è la possibilità di “trasgredire” (dal latino trans-gredire, fare un passo, camminare oltre) la figura dell’umano verso il suo compimento in Dio: per questo è il fondamento della trasfigurazione. In qualche modo non possiamo fare a meno, accostandoci a Gesù e lasciandoci avvicinare da lui, che entrare in un ordine di trasfigurazione, perché lui è l’unico uomo che agisce essendo Dio.

Sì, la trasfigurazione è andare oltre la figura di ciò che cade sotto i nostri sensi, per giungere alla realtà ultima delle cose, fino alle sorgenti amanti e pensanti dell’Incarnazione che scaturiscono dal cuore della Trinità.

Il mistero della vita di Cristo che meglio rappresenta la tensione escatologica fra questi due poli (e che dà ragione della vita claustrale contemplativa nella Chiesa) è l’Ascensione del Signore (At 1, 9-12): “() Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».

La contemplazione trasfigurante, trasformante, trasgredente non è stare a “guardare il cielo” ma attendere il ritorno di Colui che vi è salito collaborando al compimento di tutte le cose, al riscatto di tutto l’umano.

Fare un passo oltre, mettendosi in mezzo, frapponendosi, è pure inter-cedere: per questo ogni comunità di vita contemplativa collabora, con l’intercessione, alla trasfigurazione del mondo, all’azione missionaria ed evangelizzatrice della Chiesa.

le Clarisse di Borgo Valsugana

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