“Coltivate la relazione”

Il prof. Mauro Magatti (Università Cattolica) ha aperto la settimana di formazione dei sacerdoti trentini

Villa Moretta (Costasavina), 18 gennaio – Ma sì, ci sta anche una partita a “scala 40” o a burraco, tra una relazione e un lavoro di gruppo, in questo primo giorno della settimana di formazione permanente del clero trentino, che vede riuniti a Villa Moretta, la casa di spiritualità dell’Istituto Sorelle della Misericordia di Verona, a tre chilometri da Pergine Valsugana, una settantina di sacerdoti della Diocesi di Trento (daranno loro il cambio, la prossima settimana, circa altrettanti preti diocesani).

Intorno al tavolo, tra sacerdoti anziani e “colleghi” ordinati più di recente, si butta là un commento, ci si confronta su un'idea per la pastorale giovanile, ci si scambia perfino una ricetta per una cena da preparare in fretta, oggi che le “perpetue” non ci sono quasi più e i tempi sono sempre troppo stretti, tra un impegno e l'altro. E nel frattempo, occhio a non astrarsi dal gioco, rischiando di perdere la mano buona.

Già, ma quale sarà la mano buona, in questo tempo di grande confusione e di tempestosi cambiamenti? Quale carta tenere e quale invece scartare? E ci sarà ancora, nel mazzo, il jolly da pescare per chiudere finalmente la partita?

Non ha la pretesa di offrire tutte le risposte, questo annuale appuntamento di scambio e confronto, di informazione e condivisione. Ma è atteso, dai preti trentini – in grandissima maggioranza parroci –, perché è occasione per spezzare, insieme, il pane della fatica quotidiana dell'essere accanto agli uomini e alle donne di oggi, rompendo il muro dell'indifferenza (la parola posta a tema dell'intera settimana), e per provare, in questo Anno Santo della misericordia, a tradurre in gesti concreti l'invito del Papa ad aprire le porte (delle chiese, delle canoniche…) e ad essere, in quell'ospedale da campo che è la Chiesa che vuole Francesco, chi medico, chi infermiere, chi semplice, ma ugualmente prezioso, portantino.

Ad aiutarli a immergersi nella concretezza del presente di una crisi che non è solo economica, ma anche e prima di tutto antropologica e culturale, ci pensa il prof. Mauro Magatti, docente all’Università Cattolica di Milano e alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. Magatti, introdotto dal coordinatore della settimana, don Severino Vareschi, e dall’arcivescovo di Trento, Luigi Bressan, offre una sua lettura della condizione culturale e morale della società di oggi, dove, dice riprendendo le parole di Papa Francesco, prevalgono la cultura dello scarto e l’indifferenza. Come reagire? Come trovare un linguaggio ancora capace di parlare all’uomo e alla donna di oggi, e soprattutto ai giovani?

Magatti non dà risposte, ma – richiamando le conclusioni del convegno ecclesiale di Firenze 2015, dove era tra i relatori (“un convegno rimasto coperto purtroppo dall’incalzare di altri eventi”, aveva osservato Bressan nel suo saluto iniziale) – indica la necessità di lavorare, con pazienza e tenacia, nelle parrocchie, coltivando le relazioni umane e declinando così quello che Francesco chiama il Vangelo della misericordia. “Papa Francesco con la misericordia pone una questione che ha un valore culturale profondo. Perché siamo indifferenti? Perché non abbiamo mai tempo per nessuno, la velocità con cui la vita gira ci distacca gli uni dagli altri; invece la vita ha bisogno di tempo”. Quando Papa Francesco parla del rischio e dei danni di una “globalizzazione dell’indifferenza”, “vuol dire che rischiamo di essere sette miliardi di uomini sulla terra, ma di non incontrarci, chiudendoci dentro una specie di scorza che ci separa irrimediabilmente dagli altri. E’ un esito paradossale, che va combattuto, altrimenti rischiamo di costruire una società disumana”.

Disumana è una società che vede la persona non più come unità, ma come insieme di organi (“pensiamo alla questione dell’utero in affitto’”, esemplifica Magatti), o che annulla la famiglia per privilegiare i suoi singoli membri… E’ l’esserci assuefatti ad uno sguardo astratto che ci rende indifferenti, spiega Magatti, richiamando la lezione di Romano Guardini (“una figura grandissima, senza la quale non ci sarebbe stato il Concilio Vaticano II”, si spinge a dire): “Guardini diceva che la persona è ‘concreto vivente’, le sue diverse dimensioni non possono essere separate”. Per Magatti il tema della concretezza è cruciale “per combattere le derive pericolose di un ipertecnicismo che smonta tutto, perfino la persona umana”. La concretezza, aggiunge, ha la capacità di vedere la realtà e le relazioni: “è ciò che ci fa umani”. Nella vita di un sacerdote a contatto con i suoi parrocchiani, “concretezza significa tenere insieme le diverse componenti della realtà: il ricco con il povero, la tecnica con l’ambiente, le diverse religioni, il senso della vita con l’efficienza, il malato con il giovane…”, chiosa Magatti ai microfoni di radio Trentino inBlu. Concretezza è prendersi il tempo per coltivare le relazioni. E’ uno dei lasciti del convegno ecclesiale di Firenze 2015, che ha proposto la via di una nuova umanità per la Chiesa italiana. “Uno dei modi per essere concreti è ritagliarci il tempo per noi stessi, per gli altri, per la preghiera, sottraendolo alle tante cose che ci cadono addosso e che sembrano tutte urgenti, ma che alla fine ci lasciano svuotati”, conclude Magatti. “Occorre pazienza, ci vuole misericordia – la misericordia del padre disposto a sacrificare tutto per il bene del figlio (lo dico da papà) –, ma è questa la strada”.

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