Quella “danza macabra” intorno a Battisti

Cento anni fa, nella fossa del Castello del Buonconsiglio, l’esecuzione di Cesare Battisti: atto finale del processo per alto tradimento celebrato dal tribunale militare austriaco contro il cittadino dell’Impero andato a combattere nelle fila dell’esercito italiano e catturato alle pendici del Pasubio. Questi i fatti, oggettivi e incontrovertibili, e questo l’atto finale di una vicenda e di un’epoca che ebbero come protagonista Battisti come leader politico socialista, geografo, giornalista, irredentista, simbolo della lotta per l’annessione del Trentino all’Italia.

Dopo la sua impiccagione si sarebbe aperta un’altra, lunghissima (e non ancora conclusa) stagione, nel corso della quale gli aggettivi e gli attributi associati al personaggio avrebbero via via assunto i caratteri, l’intonazione, le sfumature derivanti dalle varie stagioni e dalle varie fazioni che hanno animato la storia trentina e nazionale: “martire”, “eroe”, “patriota” per la pubblicistica nazionalista italiana nei decenni seguiti all’annessione e per tanta retorica tardo risorgimentale, spesso riverberatasi nei manuali scolastici; “guerrafondaio” e “traditore” nel giudizio della propaganda austriaca del tempo, carsicamente mantenutasi viva nel corso dell’ultimo secolo e – anche recentemente – fatta propria da molti affrettati giudizi, emessi da commentatori, spesso improvvisati e politicizzati, ma sempre carenti nel metodo e nell’equilibrio necessari nel valutare una figura tanto complessa e problematica.

Una complessità che passa attraverso un periodo e dei contesti tra i più densi e problematici della storia europea del Novecento, attraverso lo spartiacque forse più drammatico del secolo breve. Complessità della quale Battisti fu uno dei più attenti osservatori in Trentino e dei più attivi interpreti, muovendo dalla propria formazione politica e impostazione culturale. In primis elaborando – nel momento del trionfo dei nazionalismi – una riflessione originale dedicata al senso di termini come nazionalità e identità, territorio e popolo, piccola patria e internazionalismo.

Alcide Degasperi, suo collega in parlamento a Vienna, nel suo intervento commemorativo al Reichsrat nel 1917, definì l’esecuzione e l’irrisione del cadavere, immortalata da moltissime sequenze fotografiche a servizio del regime, una “danza macabra attorno alla forca”. Oltre al ricordo del conterraneo avversario politico, la frase rappresentava anche un’efficace metafora per rendere il senso della rottura e della crisi di un’epoca schiacciata e devastata dalla volontà di sopraffazione degli stati nazionali, dalla incomunicabilità tra le ideologie e le culture politiche, dalle accelerazioni imposte dalla tecnologia e dai mercati a danno della giustizia sociale.

Una memoria, quella di Battisti, che divide. Divisioni legittime nelle grandi contrapposizioni ideologiche del Novecento. Molto meno in quelle odierne, originate (e forse fomentate e sostenute) da una politica dal fiato corto, in cerca di formule identitarie e legittimazioni da ancorare alla storia e alle tradizioni (che se non ci sono da recuperare, si inventano), che poggia spesso su argomentazioni povere e parziali e visioni miopi e immature.

In realtà, come ha scritto di recente un lucido e profondo commentatore della storia e dell’attualità trentine come Franco De Battaglia, Cesare Battisti “continua ad essere segno di contraddizione e al tempo stesso identità per il Trentino, per le scelte di allora e di oggi, nella consapevolezza che non ci sono scorciatoie per una terra di confine, né possono esservi rimozioni, pena la perdita di legittimità e di ruolo sullo scenario della storia. E delle relazioni interne, fra le comunità”.

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