Non tutto il male…

Il veleno dell’ape è un vasodilatatore potente, un anticoagulante, ha azione antireumatismale

“In cauda venenum”. Il veleno sta nella coda. Ci troviamo ancora nella stagione giusta per correre il rischio di subire la puntura di api, vespe calabroni, bombi.

L’ape punge (buon per lei se punge!). Dopo aver iniettato quei 50 microgrammi di veleno nella nostra cute, essa, poverina, muore ma con il suo sacrificio si è difesa ed ha salvato la colonia. In questa figurazione, l’imenottero è stato disturbato, seccato, ed ha reagito.

Se punto, anche l’uomo si difende. Il veleno di api rappresenta infatti un antigene, dal momento che è un agente aggressore, e l’organismo umano si difende da questa aggressione producendo degli anticorpi appartenenti al gruppo delle globuline, e più precisamente, alle immunoglobuline (proteina costituente gli anticorpi). Quando però il nostro organismo di difesa provoca reazioni eccessive, allora si ha l’allergia. Fintantoché la reazione si manifesta localmente con arrossamenti, gonfiore, prurito, il fatto in sé stesso è positivo, anzi, auspicabile. Se però la reazione ad una o più punture dovesse provocare arrossamenti sparsi per tutto il corpo, orticaria, caduta della pressione sanguigna, iniziale difficoltà di respiro, allora, potenzialmente, potrebbe subentrare lo shock anafilattico con conseguenze anche gravi. Non dobbiamo comunque, come si suol dire, fasciarci la testa prima di averla rotta. Il corpo umano, in genere, si difende dalle punture di insetti sviluppando, nel campo delle immunoglobuline, degli anticorpi cosiddetti di tipo IgE o “bloccanti”. Questi anticorpi, anti-veleno di ape, bloccano le reazioni anafilattiche sorte dallo scontro degli anticorpi IgE o “reaginici” con gli antigeni presenti nel veleno dell’ape. “L’applicazione” del freddo ridurrà in gran parte il disturbo, diminuirà la circolazione, rallenterà l’assorbimento del veleno ed inibirà l’edema.

Se il pungiglione è visibile — dimostrando la “colpevolezza” di un’ape — le vespe non perdono il pungiglione perché lo stesso è liscio e non frastagliato – si deve tentare di toglierlo grattandolo con il bordo di un bisturi, di un vaccinostilo, con l’unghia di una mano, ma non è tutto: sarà necessario insistere perché il paziente si faccia controllare ad un pronto soccorso nel caso in cui la reazione locale dovesse aggravarsi dopo 24 ore, il che si tradurrebbe in una superinfezione.

Il veleno è un vasodilatatore potente, fatto importantissimo per chi è sofferente di arterosclerosi. E’ un anticoagulante prezioso, ultrarapido per le persone colpite da infarto al miocardio. E’ uno stimolante biologico ad azione battericida. Ha il potere di eliminare dal nostro organismo, attraverso le urine, una quantità notevole di prodotti nocivi alla salute, di acidi urici; di qui la sua azione antireumatismale energica. Gli apicoltori infatti, difficilmente risultano affetti da reumatismi, artriti o acciacchi simili.

Allora le punture delle api fanno bene alla salute? E’ universalmente comprovato: basti solo accennare alla sua efficacia, oltre che nei reumatismi, nelle poliartriti infettive, e in spondiloartrite deformante, malattie del sistema nervoso periferico (nevralgie facciali, sciatiche, intercostali, polineuriti), ulcere trofiche, endoartrite obliterante, tromboflebiti, edemi, asma, emicranie, tiroidite tossica, sindrome di Mennières, bruciature, herpes.

Il sistema di cura? Qui scatta il concetto: apiterapia – cura a posteriori; apiprevenzione – cura prima dell'insorgere di fatti più o meno gravi.

Il metodo di cura, il più antico, è quello della puntura diretta. Il dottor Bech di New-York diceva che il veleno di api purificato perde molte delle sue qualità. Si può far pungere l'ape nei punti corrispondenti a quelli dell'agopuntura; si può usare la corrente galvanica, gli ultrasuoni. Esistono dei prodotti farmaceutici a base di veleno di api (Pivéne, Forapin, ed altri).

Qualcuno si porrà la domanda: chi pratica queste punture, quelle dirette? Difficilmente i medici, soprattutto quelli che hanno un sacro terrore di queste punture; l'apicoltore lo potrebbe fare, non tutti però; ma ci sono i rischi delle possibili allergie. E qui è proprio il caso di dire che il connubio medico-apicoltore sarebbe la cosa veramente auspicabile. Quanti malanni si potrebbero alleviare, quanta umanità sofferente potrebbe trarre immensi benefici, quanta più serenità e – perché no? -gioia di vivere con i prodotti delle api.

Concludo questa mia carrellata nel mondo delle api con l’auspicio che nel contesto del movimento che spinge la medicina a cercare negli alimenti naturali, nozioni, spiegazioni e soccorsi che aiutino l’uomo ad evitare le sciagure di una vita sempre più artificiosa, i meravigliosi prodotti di questo caratteristico ìmenottero trovino anche presso tutti noi un ruolo veramente adeguato agli sforzi che tanti ed appassionati ricercatori fanno per mantenere la produzione dell’alveare al più alto livello.

Mario Pasquali

esperto apistico, ha promosso, nel 1981, il primo Congresso Internazionale “Apiterapia”, tenutosi a Trento

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