Al pastore e al gregge: “Non temere!”

Atti 5,12-16;

Apocalisse 1,9-11a.12-13.17.19;

Giovanni 20,19-31

Era il primo giorno dopo il sabato quello in cui il Signore, risorto, venne tra i suoi nel cenacolo. Quel suo arrivo diventò un fatto abituale da allora, tant’è vero che quel giorno, con l’andar del tempo, da “giorno del sole” come era sempre stato chiamato, diventò per i cristiani “giorno del Signore” (dies dominica: domenica).

Viene sempre il Signore, ovunque, sia che in quel giorno i suoi siano radunati in una grande cattedrale, oppure in una povera baracca… Ma qui cominciano a sorgere i dubbi: è proprio vero? Perché quando qualcuno entra in chiesa, lo si vede, ma Gesù Cristo no: non lo si vede affatto. “Io credo solo a quello che vedo con i miei occhi…”. A parlare così era Tommaso, ma – diciamo la verità – Tommaso ci rappresenta un po’ tutti. Lui tuttavia è stato fortunato perché, se la prima volta in cui venne il Signore era assente, la volta successiva c’era: venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e anche Tommaso lo vide. Anzi, fu invitato da Gesù a non fidarsi solo degli occhi, ma a toccare con le mani le cicatrici delle sue ferite. Sì, fortunato Tommaso che ha visto con i suoi occhi il Signore risorto, ma Gesù afferma che sono più fortunati (beati!) quelli che credono senza vedere né toccare… E anche noi siamo tra questi. Ma perché “beati”? Chi afferma di credere solo a quello che vedono i suoi occhi, si auto-esclude da molte esperienze. Vi sono infatti cose, realtà – anche del tutto normali – che non si vedono e non si toccano, eppure la loro consistenza è certa perché se ne vedono gli effetti. La primavera, ad esempio. Comincia il 21 marzo, si dice. E chi la vede (soprattutto se proprio il 21 marzo nevica alla grande…)? No, non si è in grado di percepire quando arriva veramente, nessuno conosce il momento in cui la natura si risveglia e comincia a muovere i primi germogli: nessuno è lì a vedere. Se ne possono constatare solo gli effetti: l’aria che si fa più tiepida e le distese degli alberi in fiore.

Non penso di apparire irriverente se dico che con il Signore Gesù accade qualcosa di simile: che è risorto, che viene in mezzo a noi la domenica quando partecipiamo all’Eucaristia, noi lo crediamo, anche se non lo possiamo constatare visivamente. Ma gli effetti sì che li sperimentiamo. Quali sono? Il vangelo di questa domenica riferisce che quel primo giorno dopo il sabato (alla constatazione del sepolcro vuoto) gli apostoli si erano rinchiusi nel cenacolo per paura (temevano infatti che coloro che avevano eliminato Gesù, sconcertati per l’accaduto, avrebbero fatto fuori anche loro). Eh, è brutta cosa la paura. E ha tante facce: c’è la paura provocata dall’apprensione, dalla preoccupazione per un problema che non si sa come affrontare, o dal panico per qualcosa di brutto che sta accadendo. Sì, tante sono le forme della paura. Ebbene, il primo dono che porta Gesù quando viene tra i suoi è la pace. “Pace a voi!” dice espressamente. E non sono soltanto belle parole. Chi va alla messa la domenica e si porta nel cuore un peso, e ciononostante partecipa e prega e ascolta il vangelo, quando se ne esce, non è che veda risolti i suoi problemi, ma quel peso è diventato più leggero, sopportabile. Quella preoccupazione la può tenere sotto controllo, e riprendere a sperare, ad andar avanti con fiducia. Non sono pochi tra noi, credo, che potrebbero confermarlo per esperienza personale. Ecco un effetto della presenza di Gesù all’Eucaristia d’ogni domenica. Insomma sì, sarà pur vero che non lo vediamo con gli occhi e non lo tocchiamo con le mani, ma è anche vero che vedere e toccare non sono tutto. Forse le realtà più vere, più grandi, sfuggono a queste nostre pretese.

Ciò detto, sarebbe imperdonabile se, in quest’anno della Misericordia, trascurassimo quel dono eccezionale che è il perdono dei peccati, affidato da Gesù risorto come missione alla sua Chiesa: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati saranno perdonati…”. Non sarà superfluo ricordare che è proprio dal Signore risorto che proviene quel dono, e l’ha fatto nel giorno stesso della sua vittoria sulla morte; la misericordia infatti non è solo un colpo di spugna sui peccati, è forza di risurrezione che apre su un futuro totalmente inedito. Ecco perché la prossima domenica sarà la Festa delle Divina Misericordia.

La seconda lettura, tratta dall’Apocalisse, riferisce un’esperienza del tutto personale di “Giovanni, nostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù”: proprio di domenica sperimenta un incontro inatteso con il Signore risorto. Gli appare in abiti sacerdotali in mezzo a sette candelabri d’oro, che rappresentano (sette!) tutte le Chiese. Da lui si sente dire: “Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, il Vivente…”. Il nostro pensiero va al nuovo pastore della Chiesa trentina che proprio in questa domenica riceve la consacrazione episcopale. A lui, “nostro fratello e compagno (non nella tribolazione, speriamo!), ma nel regno e nella perseveranza in Gesù”, auguriamo di sentire rivolto a sé questo imperativo: “Non temere!”. È il Risorto a formularlo, con autorità, perché è e sarà sempre lui il vero Signore e il primo responsabile delle sue Chiese, compresa quella di Trento. E, oltre che l’augurio, la calorosa preghiera a Gesù, perché – come quel giorno nel cenacolo – sia ancora potentemente generoso in quel suo soffio divino che è lo Spirito Santo.

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