All’Isolotto, una fede di comunità

Ha fatto un gran rumore ai tempi del ’68 l’esperienza della comunità cristiana dell’Isolotto, a Firenze. Dentro e fuori la Chiesa. E, tuttavia, la maggior parte della gente non ne sa nulla, anche in Italia, anche persone che hanno attraversato quei tempi. D’altronde è un fatto noto, la vicinanza fisica ad un evento non è garanzia di conoscenza, anzi spesso la seconda è inversamente proporzionale alla prima.

Arriva ora a colmare la lacuna il documentario di Federico Micali dal titolo “Le chiavi di una storia – La Comunità dell’Isolotto“, che raccoglie in 80 minuti la storia di un quartiere che compirà 70 anni nel 2024. Era infatti il 1954 quando il sindaco La Pira consegnava le chiavi di circa 1000 appartamenti ad altrettante famiglie dalle provenienze più disparate e diseredate, in un quartiere appena costruito sulla riva sinistra dell’Arno. Un quartiere che avrebbe dovuto essere una ‘città-giardino’, ma che al momento era solo una serie di case sorte su di un terreno che era stato discarica e che ancora era privo di strade e servizi; neppure le scuole primarie. Il catalizzatore che avrebbe innescato il processo di trasformazione dell’aggregato in comunità dalla forte identità, sarebbe arrivato alla fine di quell’anno, quando il vescovo Elia Dalla Costa vi inviò “in missione” un giovane prete, don Enzo Mazzi. L’anno è lo stesso in cui don Lorenzo Milani veniva spedito a Barbiana. Il collegamento è extra-testuale, ma di fatto il parroco dell’Isolotto opera sulla stessa linea del più noto confratello, in uno spirito che lo porta ad anticipare il Concilio nell’abbattere la distanza tra la Chiesa e la società, tra il vangelo e la vita, nel pensare la Chiesa come comunità di credenti corresponsabili. Inizierà col girare l’altare verso l’assemblea traducendo in simultanea il testo latino in italiano, e arriverà in seguito a trasformare la liturgia, dando voce ai fedeli e ai problemi del giorno: ‘assemblea’ eucaristica di nome e di fatto.

È un racconto corale fatto dai testimoni diretti della storia che ricordano le tappe più importanti del percorso, in particolare quelle che portarono al conflitto e alla rottura con la Chiesa istituzionale del tempo. Al card. Dalla Costa era succeduto il card. Florit che arriverà a chiudere la chiesa e a rimuovere il parroco, ma non a spegnere la comunità che proseguirà le proprie eucaristie sulla piazza della chiesa (nella foto).

Un racconto intenso realizzato con un montaggio di voci che riproduce lo spirito comunitario e democratico dell’esperienza; racconto che non dà spazio alle scelte più estreme della comunità di base, ma pone in evidenza, da un lato, il modo in cui una comunità cristiana può (e dovrebbe) essere il motore aggregante e identitario della società, dall’altro le resistenze tutt’altro che superate, che oppongono ecclesia e istituzione clericale.

Si domandava il coordinatore del Sinodo Diocesano nella restituzione del primo anno di cammino: “che cosa si intende per Chiesa istituzionale?”. La storia dell’Isolotto, con le sue luci e le sue ombre, offre una risposta esemplare a questa e alla domanda “che cosa si intende per comunità ecclesiale?”. Realizzato per volontà della Comunità stessa, il documentario andrebbe proposto alla riflessione e alla discussione in questo secondo anno di cammino.

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