“Amatevi”. Come? E perchè?

I lettura: Atti 10,25-26.34-35.44-48;

II lettura: 1Gv 4,7-10;

Vangelo: Gv 15,9-17

Che l’amore sia per natura un sentimento reciproco, è risaputo: è esperienza di tutti. La reciprocità – cioè il dare e il ricambiare – è la legge dell’amore. Di ogni amore. Comincia là dove per la prima volta si volge l’attenzione, si fa un gesto di cordialità, o di aiuto, verso una persona (a volte si tratta semplicemente di un sorriso): quella persona, di solito, ricambia; anzi, il contraccambiare è sentito come un dovere, un obbligo per sdebitarsi in qualche modo… Non di rado tutto finisce lì. Altre volte invece tutto parte da lì: una relazione, un legame, un’amicizia che si fa sempre più intensa e affiatata. E la reciprocità è la dinamica, la legge che la fa stare in piedi e la rende sempre più robusta. Se non ci fosse reciprocità, contraccambio, non ci sarebbero nemmeno relazioni durature. “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri…”: con queste parole Gesù Cristo chiede molto, non c’è dubbio, ma se si fosse fermato a questo non avrebbe portato una grande novità. Perché da che mondo è mondo è normale che chi dà amore riceva in contraccambio amore: non occorre essere cristiani per amarsi gli uni gli altri tra familiari, tra amici, tra persone che hanno qualche relazione tra loro… Del resto, Gesù stesso l’aveva già fatto notare nel discorso programmatico: “Se amate quelli che vi amano, che merito ne avete? Non fanno così anche i senza Dio? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? (Mt 5,46). Ma giunto all’epilogo della sua avventura, ecco che (secondo l’evangelista Giovanni) a quelle parole Gesù aggiunge un’espressione che se in apparenza sembra tanto breve da passare quasi inosservata, in realtà contiene tutta la novità, tutto l’eccezionale dell’amore cristiano: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”. Qui – e proprio in queste ultime parole – ci è dato il motivo e il modello d’un amore che a questo mondo era del tutto sconosciuto e in parte lo è tutt’ora. Sì, il motivo e il modello: due dati che vanno a braccetto e che (anche a costo di sembrare pedante) mi pare più che doveroso chiarire. Le lingue, sia quelle antiche che le moderne, hanno i limiti e i pregi di coloro che le adoperano. In quella del vangelo (il greco) l’espressione come io ho amato voi potrebbe essere tradotta anche così: poiché io ho amato voi… E dove sta la novità? si dirà. E’ sufficiente riferirsi all’esperienza umana per capirla: qual è la condizione perché un individuo sappia amare in modo maturo ed equilibrato? Occorre che sia stato amato a sua volta, fin da bambino. Ecco, l’amore cristiano obbedisce a una logica del tutto simile: “Poiché io ho amato voi – dice il Signore – amatevi anche voi: gli uni gli altri”. Reciprocità quindi, anche nell’esperienza cristiana vi è la logica della reciprocità: dare amore e contraccambiare l’amore è possibile. Ne abbiamo buon motivo: siamo stati amati infatti. Ma quale amore? E in che misura?

“Come io ho amato voi…”: ecco il modello di riferimento (che, come dicevo, è l’altro senso di questa breve espressione). Si staglia dinanzi ai nostri occhi in tanti ambiti diversi: nelle chiese, ma anche fuori, nelle nostre case, ai crocicchi delle strade o su certi sentieri di montagna: è la Croce di Cristo e lui sopra Crocifisso. Ecco la prova tangibile di come egli ci ha amati, o il prezzo – se si preferisce – del suo amore per noi. Alla croce poi si possono attribuire significati diversi, ma a quella di Gesù ne spetta uno che è prioritario tra tutti: la gratuità dell’amore. Egli ci ha amati senza alcun interesse da parte sua, senza secondi fini, senza la minima pretesa di guadagnarne qualcosa in cambio. E del resto, cosa avrebbe potuto guadagnarci? Ha amato anche chi l’avrebbe tradito, rinnegato, chi non avrebbe mai corrisposto al suo amore, anzi, gli avrebbe riservato rifiuti e voltaspalle per tutta la vita. La croce proclama silenziosamente che ci ha amati gratuitamente, senza condizioni e senza pentimenti.

Questo ci porta a concludere che nel nostro modo di amare non è sufficiente la logica della reciprocità, dello scambio, ma possiamo e dobbiamo puntare alla gratuità. Se noi, cristiani, amiamo il nostro prossimo solo se siamo ricambiati, non possiamo dire che il nostro è amore cristiano. E, d’altro canto, se gli altri ci amassero solo perché siamo sempre disponibili e servizievoli verso di loro, ci rimarrebbe sempre il dubbio che in fondo ci amano per interesse. No, solo nella gratuità si giustifica l’eccezionalità dell’amore che in questa Domenica il Signore ci raccomanda con tanto calore: “Come io vi ho amati, così amatevi anche voi…”.

Sì, a volte è arduo, difficile, addirittura impossibile se contiamo unicamente su noi stessi. Ma è proprio qui la novità: chi ha mai detto che dipende da noi? Prima di comandarci un tale amore, Gesù ci raccomanda:Rimanete nel mio amore”. Rimaneteci come i tralci innestati nella vite. Rimanete in quella vitalità che scaturisce dai sacramenti che vi ho dato: rimanete sì, rimanete nel mio amore! Certo, è in salita la strada che ci invita a percorrere, ma con lui è possibile, anche se è in salita. Del resto, per quale altro motivo Dio ci avrebbe creati a sua immagine? Ci arriveremo. Infatti, chi ama con gratuità – senza aspettarsi contraccambio – assomiglia davvero a Dio.

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